Nella società in cui manca Gesù spadroneggiano Babbo Natale e Mamma Befana
E’ sempre più arduo spiegare ai piccini che Gesù bambino non è Babbo Natale da giovane. Questo perché la scuola elementare assolve sempre meno alla propria funzione. Forse perché i fanciulli vi giungono già confusi dalla pressante frenesia commerciale. Quella che vede nel Natale “un modo per risollevare il mercato interno…l’economia”. In questa visione econometrica la spiritualità cede il passo al consumo, di beni ma anche di sentimenti, amicizie, frequentazioni. Gli ideali vengono narcotizzati, e grandi e piccini pensano per un momento che lo Stivale si possa trasformare nel paese dei balocchi.
Il figlio di Dio, nel cui nome si fa il presepe, diventa un veicolo per spalancare la porta di casa ai doni: sciarpe, maglioni, giocattoli, bevande, elettronica, buoni d’acquisto… Così viene taciuto (dimenticato) il fatto che crescendo Gesù abbia deciso di scacciare i mercanti dal tempio. Anzi a qualche commerciante torna utile sovrapporre l’omone rosso con barba bianca al piccino nato in Palestina, le renne a bue e asinello. Un Gesù ridotto a postino, a cui scrivere una lettera di desideri che potrebbe trovare risposta in Babbo Natale o nella sua consorte Befana.
In questa finzione consumistica si rischia (ma è già avvenuto) che il bambino non percepisca (anzi perda) il senso del dono. Deviato da una società che spinge a considerare migliori i genitori che fanno regali più grandi e costosi. E sembra, nonostante l’aumentata e diffusa povertà, sempre più arduo fermare l’acquisto indiscriminato di beni. Intanto l’obsolescenza programmata trasforma anche uomini e donne in eterni bambini in attesa di nuovi cellulari e diavolerie informatiche… si narra possa presto arrivare l’Iphone che trasmette la nostra immagine per ologrammi.