Dal pantano è nato un fiore, Maria Pasquinelli. Viva l’ Italia!
(il titolo è tratto dal testo del volantino diffuso a Trieste l’11 aprile 1947)
Il giorno di varcare la soglia è arrivato a cent’ anni, quanti ne aveva Maria Pasquinelli in quel 3 luglio del 2013. Si spegneva in monastica solitudine un’ eroina italiana, maestra elementare laureata in Pedagogia, iscritta a vent’anni al PNF, di più, allieva critica della Scuola di mistica fascista di Giani a Milano. Diremmo oggi impegnata nel sociale sia nell’attività di insegnante che di attivista politica; la nostra lascia il posticino fisso e nel ’40 parte crocerossina volontaria per la Libia ma va oltre, rasatisi i capelli, si traveste da soldato per andare a combattere sul fronte a Bengasi. Scoperta viene rispedita in Italia, da qui comandata in Dalmazia. a Spalato, appena conquistata dalla Wermacht e dal regio esercito, per insegnarvi l’italiano. La città cade in mano ai partigiani titini, Maria viene arrestata, resiste con la forza fisica a uno stupro. Dopo la riconquista tedesca s’ adopera presso il comando per ricercare gli italiani scomparsi, ne ritroveranno 106 sepolti in una fossa comune, tra i quali il suo preside e un collega.
Se ne torna a Milano ad insegnare ma il fronte orientale si sta sbriciolando, è in grave pericolo l’italianità delle terre giuliano-dalmate. L’unico obiettivo è salvarle dall’invasione slava evitando la loro capitolazione sotto l’avanzata delle truppe di Tito sostenute dagli angloamericani. Cercò a quel punto di cucire gli opposti, la X MAS del principe Borghese con la brigata Osoppo del CLN, tentativo vano. Nel frattempo avanzava la pulizia etnica contro i nostri connazionali, fascisti e non, nel silenzio di tomba generale, le foibe si riempivano di cadaveri, i profughi lasciavano le loro terre per fuggire dalla ferocia slava. Parliamo di 350.000 italiani malvisti persino nella loro patria dai comunisti italici conniventi col maresciallo e di oltre 30.000 assassinati.
Erano le 9.30 del 10 febbraio del 1947, una giornata uggiosa d’inverno, la fiorentina Maria, marzolina del ‘13, è a Pola davanti al quartier generale del comando britannico, è lì che aspetta mescolata ad una piccola folla. Arriva l’auto del comandante alleato Robert W. De Winton, 38 anni, moglie e due figli lasciati in Inghilterra, scende dalla macchina e si avvia al comando. Maria estrae una pistola nascosta nella manica, punta all’ufficiale, spara a bruciapelo tre colpi, lui barcolla, cerca di raggiungere l’edifico, cade per terra, muore, è un omicidio. Maria lascia cadere l’arma, resta immobile, forse le spareranno, no, l’ arrestano. A Parigi, nello stesso giorno, la Jugoslavia di Tito l’infoibatore, arraffa al tavolo tutta l’Istria, Pola compresa, ci resta solo Trieste divisa in A e B.
Quella maestra non era –ina, carattere deciso, ardito, generoso, pensiero-azione, non i blabla degli aristoneri, fatti concreti gettando il cuore oltre gli ostacoli. E’ il dopo 8 settembre del ‘43, il funerale della Patria, assiste all’esodo biblico della popolazione italiana, si arma della sua determinazione per assistere i profughi, ritrovare i corpi degli uccisi, infoibati, scomparsi nei crepacci carsici, è una militante dell’Italia con tanto di attributi che tanti troppi non hanno in quel frangente. Ma il destino dell’Istria e della Dalmazia, in quel giorno del ’47, era segnato, il maresciallo le inghiottiva alla Jugoslavia. Lei fu giudicata per omicidio volontario, condannata a morte dalla Corte Militare Alleata di Trieste, vedrà la pena commutata all’ ergastolo, uscirà di prigione nel 1964 dopo 12 anni, poi il lungo silenzio senza nulla rinnegare. Riportiamo la sua dichiarazione finale alla Corte alla lettura della sentenza: “ Ringrazio la Corte per le cortesie usatemi, ma fin d’ora dichiaro che mai firmerò la domanda di grazia agli oppressori della mia terra. “