Educare alla normalità: il caso di Neil Harbisson

 

Educare alla normalità: il caso di Neil Harbisson

«L’indice di normalità ideale», per usare le parole di J. Derrida, è un fattore di tensione, in moto verso un traguardo di cui è privo ma, al contempo, è marcatore d’ordine o, se non altro, di una sintesi d’equilibrio. Due sfaccettature compatibili nella realtà ambigua, sulla quale oggi, avidi, svisceriamo pensieri, tracciamo sagome. Immagini di datità. Asportare l’anormale dal piacevole ha affievolito la negatività dell’eccezionalità inusuale, prima omologando e, successivamente, individualizzando lo scarto (o la nuova conformità/normalità), il dissimile dalla sovrapposizione. La società odierna, grazie alla velocità stimolo-risposta tra innovazione-prospettiva e assimilazione collettiva, ha bisogno di uno sforzo considerevole di estrazione e, nel frattempo, di immissione, del singolo, posto a confronto con la dimostrazione, dovuta a se stesso e alle sue relazioni, di giustificazione del normale. Un ragionamento molto concreto che accomuna realtà oggettive le quali, proprio in quanto tessuto comune, esigono prontezza e dinamicità, dal momento che ciò che sappiamo dell’uomo non può più dirsi sufficiente: è riduttivo parlare di solamente-uomo quando l’evoluzione in atto è per un Oltreuomo. Ragionevole sostrato culturale d’appoggio per un uomo qualsiasi che conduce intenzionalmente una vita come fosse una bambina, il cosiddetto transage; ancora, per il dilagante transpecismo (vedesi l’ormai nota comunità degli uomini-cane), transizione comportamentale da specie a specie; fino a Neil Harbisson, riconosciuto ufficialmente come primo “uomo-cyborg”, identità verificabile nel suo passaporto. L’artista irlandese, nato affetto da acromatopsia (impossibilità di distinguere i colori), è l’uomo che sente i colori attraverso l’impianto di eyeborg: un chip installato permanentemente sulla nuca, che converte, mediante un antenna (una sorta di terzo occhio), i colori in suoni, memorizzandoli in frequenze più o meno acute a seconda dell’intensità. La fusione fra uomo e artificio oggi ha perfezionato l’esperienza di Neil non solo tecnicamente, mediante il collegamento internet osteo-integrato del dispositivo (da cui un episodio di hackeraggio!), ma anche nel progetto della Cyborg Foudation, organizzazione che ha già raccolto l’adesione di numerosissimi giovani, pazienti o volontari simpatizzanti di un rinnovato umanesimo, frutto dell’ibridazione tra natura e surplus meccanico. «L’antenna è un nuovo organo! Non volevo indossare tecnologia, volevo diventare tecnologia», con questa affermazione rilasciata da Neil, il sentiero a ritroso verso l’interrogativo iniziale attorno alla sottrazione dell’anormale al normale, in un distinguo impervio, cede all’assurdo l’esistenza stessa del limite inserito in un contesto maneggevole arbitrariamente. L’aspirazione dell’uomo-cyborg era, e parzialmente lo è ancora, attenta a situazioni di emergenza terapeutica per le quali un simile approccio simbiotico potrebbe giovare il beneficio di un ripristino. Anche nel distinguo fra l’assuefazione provocata dal perfettibile (miglioramento) e l’essenza invece terapeutica di un intervento, sedimenta l’urgenza dell’interrogativo etico sull’estensione del desiderio all’ambito sanitario, o meglio della «contrazione del concetto di salute su quello di normalità» e la qualità del sentire umano.

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