L’inverno della democrazia: la trasmutazione

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L’inverno della democrazia: la trasmutazione

Se la Prima Repubblica è stata una repubblica dei partiti, la Seconda si caratterizza per aver sostituito alla democrazia dei partiti quella del pubblico. La prima era programmatica, nel senso che i partiti presentavano il loro programma come un ristorante i suoi menu; la seconda continua in clima elettorale a presentare manifesti dei sogni impossibili, ma non è più percepita come in grado di assicurare la felicità generale. Vuoi la congiuntura economica ormai endemicamente negativa, vuoi per la palese mediocrità dei politici che le rappresentano, le cosiddette democrazie non credono più a un futuro migliore e con loro non lo credono più possibile gli elettori, i quali defezionano in numero sempre maggiore gli appuntamenti elettorali. Né vale dire che ci sono state altre crisi come quella del ’29, che comunque è terminata solo “grazie” a una guerra mondiale, perché oggi il cosmopolitismo finanziario ha evirato gli Stati nazionali, sottraendo loro le tradizionali armi di difesa: dalla sovranità territoriale a quella monetaria. Il controllo del territorio è sempre stata una prerogativa della sovranità che oggi viene meno sotto i colpi di un’immigrazione chiaramente guidata dagli Stati di provenienza di masse condannate allo sradicamento; mentre la moneta è un copyright di una banca privata (si veda il simbolo che precede sulle banconote la sigla della Bce). Lo stesso dogma della sovranità popolare viene meno: a che serve votare se poi le decisioni sono determinate o subordinate all’approvazione delle correnti transnazionali che disprezzano la volontà dei popoli? Fino alla metà del secolo scorso, si poteva ancora non essere consapevoli che il benessere generalizzato avrebbe devastato l’ambiente, che il turismo di massa avrebbe insudiciato e cementificato i territori, che l’istruzione di massa avrebbe generato l’ignoranza di massa con diplomi facili e fasulli, mentre i figli dei ceti privilegiati avrebbero studiato all’estero. Oggi, la maggioranza dei cittadini ne è consapevole, cosicché l’esaurimento delle aspettative e delle speranze riposte nella democrazia ha mutato l’esercizio del governo e lo stesso immaginario dei governati. Il mestiere della politica non può essere quello del passato – promesse gestite con grande prudenza – ma è diventata amministrazione a breve termine, gestione delle emergenze e degli imprevisti della nostre società e soprattutto conservazione del consenso ad ogni costo. E poiché le promesse sono sempre meno realizzabili si ricorre a ricette sempre più fideistiche per le quali è funzionale la retorica dei diritti umani, nuova religione secolarizzata mondiale, funzionale all’isolamento dell’uomo che da solo non sarà in grado di difendersi e difenderli. Oggi l’identità individuale supera quella pubblica e diventa sempre più difficile comprendere che a ogni diritto corrisponde un dovere, altrimenti lo stesso diritto diventa astratto; la globalizzazione favorisce questo processo, accentuando il lato dei diritti e rompendo la solidarietà. Le società si mutano in qualcosa di sconosciuto e la democrazia trasmuta nel suo opposto.

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