In trincea per la democrazia sociale
Niente di nuovo compagni, chi non marcia a passo d’oca (di savoiarda invenzione) allineato e coperto, che il manicomio lo colga! Così lo storico Yury A. Dmitriev, 62 anni, docente universitario di fama internazionale, sarà sottoposto a seconda perizia psichiatrica per dimostrare o costruire presunte devianze sessuali nella sua personalità. Il rischio è 15 anni di reclusione nel centro per malattie mentali Serbsky di Mosca, lo stesso usato da Stalin.. Non entriamo nel merito del processo ma vogliamo sottolineare che Dmitriev è assai scomodo, per anni, ha effettuato con successo ricerche sugli eccidi di prigionieri e dissidenti in Carelia, repubblica della Russia, ai tempi dell’ex seminarista Josif Stalin. Grazie al suo lavoro certosino, sono state localizzate e riaperte fosse comuni sepolte nella memoria, riesumando migliaia di ossa di “giovani emersi”. Scrive Luigi Guelpa sul Giornale dell’11 gennaio 2018: “sarà pur vero che morto uno Stalin se ne fa un altro, ma metterlo in discussione è come toccare un cavo scoperto dell’alta tensione…”.Come dire che per l’attuale potere politico, ben saldo in pugno a V. Putin, il lavoro di Dmitriev getta fango sull’immagine della grande madre Russia, Stalin compreso, ritenuto comunque il salvatore della Patria nella guerra contro l’Asse.
La Destra del III millennio sembra invece inseguire il vecchio mito dell’uomo forte, non trovandolo nel proprio cortile, volge lo sguardo verso gli Urali, così è nato il putinismo. Ma noi, è bene insegnarlo, non siamo gli imbalsamatori del passato né i chierichetti di nuovi idoli presi in prestito, siamo gli anticipatori ribelli d’ un avvenire tutto da costruire. Il guanto della sfida è gettato per la conquista della democrazia sociale, impresa titanica, ardua quanto affascinante, o la libertà nella verità oppure, cari camerati, il niente. Il nostro è il grido del lupo lanciato nella valle deserta aspettando il ritorno dell’eco. Le attuali democrazie occidentali si armano loro di populismo, risultato dei conati di vomito dei capponi allevati a ingozzo di cose coniugate a cose. Chi si rifugia nel bosco è un nemico di meno per il sistema, chi inneggia ai passati valori non ne ha che una vaga rimembranza, chi occhieggia fuori dallo steccato vi incontra nuovi tiranni. La macchina apparentemente è assai complessa, il voto sembra un inutile rito, un’appendice infetta da tagliare in fretta, una scocciatura che non cambia il gioco. Nei santuari, fin nelle pievi del dissenso si guarda, da entrambe le rive, ai politici forti, schiaccianoci del pensiero debole, autorevoli per muscoli e parole d’ordine. Agli occhi dei ribellisti emarginati il putinismo è l’ancora di salvezza dei valori non contrattabili, crescono i fans del demiurgo d’un nuovo ordine mondiale, nulla si chiedono sull’eredità lasciata per il futuro, sepolta sotto l’obelisco del Foro Italico, cioè una democrazia sociale lavata dell’usura.
Affermiamo che la trincea degli irriducibili si è spostata e di molto nella storia, le avanguardie raccolgono il testimone di democrazie sciolte nell’acido degli strozzini, è un fronte enorme contro truppe tecno-finanziarie invisibili, legalizzate in abito neutrale: le banche. Quel grand’uomo di Ezra Pound aveva preconizzato la fine dell’Occidente se nell’intreccio tra Cultura, Politica ed Economia, quest’ultima avesse fagocitato le sorelle ma soprattutto la quarta gamba, la più importante, unica, l’uomo. Oggi, oggi (lo ripetiamo), la democrazia si è ridotta all’ossicino gettato ai cani: la crocetta sulla scheda elettorale, fine. “La base di uno Stato è la giustizia sociale”, la democrazia passa per un concetto molto semplice: non può esistere ricchezza creata con l’arma del profitto o peggio dell’usura. L’oro non germoglia come il grano, se messo in terra nulla produce, può fruttare solo creando debiti, dove i creditori, in primis lo Stato, prosperano da zecche sul lavoro, succhiando all’uomo che arranca ossessionato di saldare il conto. Spezzare la catena di schiavitù è fattibile? Nessuno ne parla, neppure un accenno, in questa campagna elettorale di re magi. Ci provò, a suo tempo, il Presidente Jefferson negli U.S.A., lo comprese, in ritardo, Mussolini quando esclamò “« Il mio amico Ezra Pound ha ragione. La rivoluzione è guerra all’usura. È guerra all’usura pubblica e all’usura privata. Demolisce le tattiche delle battaglie di borsa. Distrugge i parassitismi di base, sui quali i moderati costruiscono le loro fortezze…”. E’ questa la trincea scavata per abbatterle e costruire libertà e democrazia. “Ci vuole il coraggio di Pound per salvare tutto il mondo” scriveva Pierangelo Buttafuoco sul Giornale del 18 settembre 2013.