Il futuro si chiama Europa dei Popoli
Parlare di “Europa dei Popoli” ai nostri giorni con riguardo all’Unione europea sembra sempre meno utopistico. La percezione che una congrua parte dei cittadini ha dell’integrazione europea, oltre ad una sensazione di insofferenza, sollecitata non sempre correttamente dalla politica e dai mass media, è che l’Unione sia un “carrozzone” guidato dagli Stati – e in particolare dalla Germania – nel quale i cittadini non hanno alcuna voce in capitolo.
Il 4 marzo gli italiani saranno chiamati al voto per rinnovare il Parlamento italiano e dunque il governo. Dal quel voto dipendono molte cose, come il rapporto che ci sarà tra Unione europea e Italia. Le forze euroscettiche come la Lega e il Movimento 5 Stelle hanno posizioni di aperto contrasto con Bruxelles, mentre Forza Italia e Partito democratico sono certamente critiche nei confronti dell’Ue, ma saldamente europeiste. Il PD Sabato prossimo a Milano si appresta a celebrare “Gli Stati Uniti d’Europa”,a fini ovviamente meramente elettorali.
Ma ha senso oggi ignorare i cambiamenti che stravolgono l’architettura obsoleta dell’Unione Europea?
Cattaneo e Mazzini avevano anch’essi visioni diverse sul concetto di Europa inizialmente elaborato dal principio repubblicano, Mazzini pensava ad uno Stato nazionale unitario ma sul piano europeo puntava su una federazione dei popoli.
Cattaneo quasi rovesciava l’approccio: un’Italia federata ed un’Europa dai vincoli federali così forti da prefigurare quelli che egli stesso definì “Stati Uniti d’Europa”. Entrambi rifiutavano tanto il nazionalismo quanto il particolarismo.
E Cattaneo riteneva che la valorizzazione delle tradizioni locali dovesse essere solo il primo passo della costruzione di entità unitarie più ampie.
Nella sua analisi Ernest Renan, famoso per il suo discorso “ Qu’est-ce qu’une nation” distingueva due approcci: il primo, impercorribile, includeva tutte le concezioni di nazione a carattere etnico, religioso, linguistico, geografico ed economico; il secondo approccio, che Renan giudicava adeguato, faceva riferimento ad una memoria condivisa e ai valori comuni. Una nazione si definisce tale quando il suo popolo si riconosce nelle vicende storiche passate e aderisce a comuni valori.
Si comprende quindi che l’idea antica di nazione esca indebolita dalla storia recente dell’Europa, caratterizzata da vicende sostanzialmente unitarie e dall’accettazione unanime dei principi della democrazia liberale.
Ma se questo è vero, a maggior ragione ne escono indeboliti il micro-nazionalismo ed il regionalismo. Se le antiche divisioni dell’Europa ottocentesca sono in gran parte esaurite, a maggior ragione appaiono anacronistiche le visioni ancora più particolaristiche.
Il regionalismo oggi può costituire uno strumento di difesa per le popolazioni che ancora scontano una qualche forma di disparità: è il caso degli irlandesi nell’Ulster, dei baschi in Spagna e di altre comunità più piccole sparse per il resto d’Europa. In tutti gli altri casi, ed in particolare in Catalogna, Scozia, Fiandre e Nord Italia, non sussiste alcuna condizione di oppressione o discriminazione ed il micro-nazionalismo costituisce a sua volta una forma di difesa dall’egemonia economico- politica di alcune nazioni europee sulle altre più deboli, in fin dei conti la guerra nella ex Jugoslavia è iniziata per le stesse ragioni economiche.