Philiph Nitscke, medico australiano noto come «Dottor morte», lancia l’inquietante esemplare di Sarco, la capsula del suicidio discreto. Sarco deriva da “sarcofago”, da cui trae ispirazione il progetto: l’involucro claustrofobico, infatti, è uno spazio di morte dal design moderno, costruito con materiale facilmente reperibile, ospita un solo “viaggiatore” il quale, comodamente coricato sul lettino predisposto, potrà azionare e attendere l’asfissia dovuta dalla fuoriuscita di azoto liquido nell’euthanasia machine, come la chiama il suo ideatore. La bara dei vivi verrà costruita con legno biodegradabile e plastica; il costo del servizio non sarà nulla di proibitivo dal momento che lo scopo è esattamente la facilitazione dell’applicazione eutanasica, fare in modo che risulti un bene a disposizione. A cosa serve e chi ne farà uso? Gli idonei, ovvero coloro che supereranno il test online d’accesso, valutativo dello stato di salute mentale dei morituri, risultando idonei al suicidio se sufficientemente sani di mente per essere pienamente consapevoli di voler terminare la propria vita. Una volta sopraggiunta la morte, il cadavere verrà trasferito per le esequie o viceversa potrà utilizzare lo stesso Sarco come bara, a seconda del contratto firmato. Philip Nitscke aveva già dato modo di far parlare di sé divenendo noto per aver eseguito la prima eutanasia in Australia nel 1996; per aver pubblicato il cosiddetto Peaceful Pill Handbook, una guida teorica di supporto per strategie di suicidio, disponibile al costo di 85 dollari; e per aver fondato nel 1997 l’associazione «Exit», l’industria del suicidio. Siamo strettamente umani nel ripetersi continuo dei nostri errori, il male è banale: la menzogna diventa verità e passa alla storia! La morte deve poter essere scelta per diritto sulla gestione di sé, sull’appartenenza a sé, così può dirsi realmente libera. Quando un’idea, come quella di eliminare un uomo per il suo bene, non sconvolge, occorre chiedersi se la libertà più piena non sia forse quella della regola, del vincolo che, nello scandire un perché, sostiene un senso. Non è aberrante il marchingegno del Dottor Morte, frustrante è la fatica consumata nel tentativo di normalizzare una struttura sociale per la morte, lo sforzo continuo della resa. La solitudine tecnologica ha ridefinito la concezione di impossibile, ma non siamo abbastanza educati al limite per comprenderla, così per utilizzare le parole di Z. Bauman «decostruiamo la mortalità». Sarco non dovrebbe sconvolgere la società più di quanto non sconvolga un medico -obbligato o consenziente che sia- che si investe dell’autorità di decretare la cancellazione di un uomo, ancor più se commissionata. È quanto mai improrogabile il coraggio dell’inaccettabilità dell’immutato mutevole, ovvero togliere noi stessi dalla zona di comfort, dal piacere ego-centrato: decentrare è costruire sull’uomo piegato poiché dal capo chino, per contrasto, impariamo la grandezza del nostro essere venuti al mondo da qualcuno; cadenzare un tempo sillabandolo con l’inevitabilità della a morte mediante l’impasto che, con essa, abbiamo amalgamato di bocconi abbondanti, fin dalla nascita. Il fabbisogno di senso viene stimolato dalle scadenze, eleggendo un trascorso. Vedere l’uomo dietro la condizione, mostrare l’identità fra il corpo vissuto e il corpo saputo, risultato di analisi, dire all’esausto: tu non devi meritare di essere uomo, tu sei ancora, sei già, e io sono qui perché hai bisogno di ricordarlo!