Caduto per la Rivoluzione a un passo dai vent’anni
Via Sommacampagna ha il braccino corto, un centinaio di metri ed è finita lì, ci abitava un mio zio avvocato con moglie altolocata genovese. Per anni l’ho solcata a passi veloci per andare al liceo dove insegnavo. Nel mio quartiere natio, Castro Pretorio, era fisiologica una sezione del M.S.I. anzi la sede provinciale del FdG. Dopo la diaspora finiana cominciata a Fiuggi e la ceduta sovranità all’ometto di Arcore, per la Destra sociale quella sezione è il filo nero della sua storia, adesso infatti c’è FdI. Dicono che dentro è rimasta la scrivania sulla quale Paolo vergava a pennarello i manifesti, da lì partiva la voce rauca di T. Bontempo a Radio alternativa, attivismo rivoluzionario della riva destra non solo resistenza al razzismo antifascista. Questo sistema ha decretato nei fatti che ammazzare un fascista non è reato, i colpevoli restano impuniti da Acca Larentia, ad Alberto Giaquinto, ai fratelli Mattei, a Francesco Cecchin fino a Paolo Di Nella come tanti altri, sono gli “infoibati” di Stato dei quali si occulta la scomoda memoria. La rivendicazione dell’omicidio da parte dell’ Autonomia Operaia dichiarava “gloriosa azione politica” “la soppressione di un fastidioso nemico…” cioè di un militante di avanguardia, non il clichè del fascista bruto e cretino. Era il 1973, la guerriglia sporca di quartiere era il pane quotidiano, le BR stavano alzando il tiro, solo tre giorni dopo la morte di Paolo sequestreranno il sindacalista della CISNAL, Bruno Labate, a Torino. Siamo negli anni di piombo, dall’azione criminosa spontanea si è passati all’assalto al cuore dello Stato, Paolo non è l’ultimo caduto della guerriglia di quartiere, il 16 aprile il fuoco ucciderà Stefano e Virgilio Mattei alla borgata Primavalle. L’innesco per la rivolta c’era ma chi doveva dare carne alla parola gettò fiumi d’acqua sulla fiamma, fu scelta di saggezza o inchino allo zio Sam? Colpisce ora quel “fastidioso” del volantino, perché quell’aggettivo? Di Nella era un militante della destra ambientalista, attento al territorio, faceva sue le istanze ecologiste che sembravano uno dei cavalli di battaglia della sinistra verde. L’idea che a destra ci fossero i pronipoti di Gaio Gracco, i “palazzinari” assatanati d’ usurare l’ambiente, è storicamente falsa perché ideologicamente tale nello zaino dei valori della destra rivoluzionaria ( unica destra possibile). Così le battaglie di Paolo scoprivano un fianco pericoloso per la sinistra: la socializzazione del territorio là dove villa Chigi era un’occasione di affrancare per la comunità un polmone di verde.
Quando fui eletto consigliere comunale nel mio paese, per battere una speculazione edilizia e fare chiasso, scelsi un’arma impropria per la destra, lo sciopero della fame, durò poco il mo languore ma il risultato fu vincente, lasciando attoniti compagni e loro consorterie. Paolo si muoveva fuori dai canoni della resistenza all’aggressione fisica e politica, era andato oltre la trincea portandosi con colla di farina e manifesti il grido di una gioventù incardinata nelle problematiche sociali del presente. Il suo era il “grido” di E. Munch forse troppo solitario in un’area titubante sull’interpretazione della storia, fare rivoluzione o marcare il passo, essere ribelli o aspettare il passato. Pochi sanno che “la festa degli alberi” fu istituzionalizzata con la legge forestale del 1923, art. 104, ricucendo l’amore per la natura all’antica “festa Lucaria” dei romani, perciò il “bosco sacro” ci appartiene insieme a Diana, signora delle selve e degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti. Era nel bosco cittadino del quartiere Trieste la notte del 2 febbraio 1973 ad incollare manifesti di petizione ché il parco di villa Chigi diventasse pubblico a servizio della comunità per attività socio-culturali. L’auto di Daniela si ferma a piazza Gondar, Paolo scende ad incollare, due infami, fermi alla fermata del bus, l’aggrediscono di spalle, uno lo colpisce secco sulla testa. Lui cade, i vigliacchi se la squagliano, il cavaliere si rialza, si sciacqua la ferita ad una fontanella, si fa riaccompagnare a casa dalla ragazza, ma la notte è un inferno tra nausea e sangue, di corsa al Policlinico Umberto I ma è già in coma, esalerà l’ultimo respiro alle 20.05 del 9 febbraio 1973. Muore un Don Chisciotte del quartiere Trieste cui s’addicono queste strofe del testo di Francesco Guccini quando dice”…di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;/proprio per questo,Sancho, c’è bisogno/soprattutto/d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno/matto “ il nostro. Paolo presente!