L’inverno della democrazia: la neolingua
La neolingua, particolarmente quella dell’amministrazione di Bruxelles, ha essenzialmente il compito di occultare lo smantellamento dello stato assistenziale, lo sradicamento dei popoli europei e di cancellare ogni residuo “solido”, forte appunto, di una civiltà che, pur tra errori e orrori, è quanto di meglio la storia umana recente sia stata in grado di produrre; come dimostra indirettamente il flusso migratorio che proprio in Europa si indirizza nel suo numero maggiore. A tal fine, non molto tempo fa, un prontuario per i funzionari Ue indicava dettagliatamente le frasi da evitare: come terrorismo islamico e ogni riferimento ad elementi religiosi. Nel 2006, il portavoce dell’allora premier spagnolo Zapatero, riferì alla stampa che papa Benedetto XVI in visita a Valencia aveva regalato alle signore una collana di perle con una croce. Uno straordinario equilibrismo verbale per non usare la parola “rosario”. Insieme alle religioni, sono vietati riferimenti alla nazionalità, all’appartenenza etnica, a qualsivoglia identità, mentre sono da incoraggiare riferimenti a situazioni di meticciato o comunque promiscue; qualcuno forse ricorderà che Umberto Veronesi, oncologo e già ministro della Sanità, poco prima di morire, aveva dichiarato di considerare puro l’amore omosessuale, a sottintendere che la procreazione è invece un atto impuro. Il che per un medico suona abbastanza paradossale. Il fatto è che la neolingua ha il compito di capovolgere i valori tradizionali, di confondere le acque del pensiero, al fine di non rendere più possibile avere un punto di riferimento e rendere possibile veicolare qualsiasi nuovo messaggio che le élites ritengano funzionale al loro dominio. D’altronde, Hannah Arendt ha acutamente notato come per i regimi totalitari l’uomo ideale non fosse il comunista o il nazista convinto, quanto colui che non distingueva più tra vero e falso, tra realtà e finzione. Colui, cioè, completamente immerso nella neolingua di orwelliana memoria, che rinominava la pace guerra e la finzione verità. Ed è noto come Orwell, massone e comunista pentito, volesse consegnare ai posteri non un romanzo distopico, quanto un avvertimento per ciò che si preparava nel futuro prossimo. Difatti, ci troviamo interamente immersi nella neolingua che nel 1984 dello scrittore britannico aveva il compito, non dimentichiamolo, di fornire un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo, ma soprattutto rendesse impossibile ogni altra forma di pensiero. Una volta che l’archelingua fosse stata sostituita dalla neolingua ogni pensiero eretico sarebbe divenuto impossibile perché privo dei campi semantici con i quali potersi esprimere. Se 1984 voleva metterci sull’avviso, dobbiamo dire che non abbiamo imparato la lezione: abbiamo prima sterilizzato il linguaggio, rifiutando di definire le cose per quelle che sono, e così il passo successivo, quello dell’inversione di valore semantico che disegna un’irrealtà più reale di ogni evidenza, è stato conseguente. Orwell ha scritto invano.