In una nazione libera, non vassalla e non conformista, l’opinione pubblica dovrebbe essere educata attraverso lo studio delle verità storiche autentiche, cioè piene e complete e non con ricostruzioni e rivisitazioni parziali, aprioristiche e prefabbricate, su ideologie prepotenti e prevaricatrici. L’anniversario della promulgazione delle leggi razziali ha provocato un putiferio esasperato, comunque solo in minima parte spontaneo e principalmente esasperato dalle “secrete stanze” in volgare chiave elettoralistica.
La punta più acuta è stata raggiunta dal presidente della Repubblica, con parole di eccezionale miopia, arrivato a “concionare” fino a considerare la Shoah “per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale, unica nella storia d’Europa”.
Senza misurarsi con analisi capillari ma contrapposte, purtroppo mai compiute, tra lager e campi di sterminio sovietici (gli arcipelaghi gulag), è sufficiente anche per la provenienza della fonte, rileggere un articolo, apparso su “Repubblica” il 5 marzo 2006, in cui, utilizzando un parallelo raramente tentato “Hitler negli anni Trenta studiò i metodi repressivi di Stalin. Li ammirava e li adottò, rendendoli poi più sofisticati. Stalin, alla fine degli anni Trenta, inviò funzionari in Germania a studiare l’organizzazione dei lager. Sapevano entrambi di essere gli architetti di un’industria della morte” , Il dittatore comunista è accusato di aver consegnato ai nazisti gli ebrei, invisi da sempre ai russi, che specie nei Paesi baltici ed in Ucraina, eseguirono le stragi .
Per una volta non bestemmiato o irriso, si è unito al coro anche Trump, al quale, come americano, qualcuno dovrebbe rammentare i devastanti bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, le distruzioni barbare dall’alto con migliaia di vittime in innumerevoli città italiane e tedesche. E questi innocenti – è vergognoso ma inevitabile il segnalarlo – oggi ma anche ieri e negli anni vicini all’evento hanno avuto solo commemorazioni frettolose e svogliate senza altisonanti ed enfatici messaggi delle autorità.
Per la Cina dei nostri anni come l’Urss, le vicende storiche ed i protagonisti ricevono valutazioni ingiuste, settarie, con punte di servilismo o di convenienza. In questi giorni – tanto per recare un esempio fresco ma consueto – il venerato maître à penser Sergio Romano è arrivato a formulare giudizi benevoli sull’Unione Sovietica, definendola “meno aggressiva di quanto apparisse” e dalla linea “molto meno ideologica di quanto potesse sembrare”.