Sentiamo continuamente parlare, ormai da anni, di parole con il prefisso “anti” davanti, specie in ambito politico. Antifascismo, antirazzismo, anticomunismo, antimmigrazionismo, antipolitca, antisistema e chi più ne ha più ne metta. La versatilità di lemma credo che per la stampa media di oggi si contraddistingua in base alla sua adattabilità all’ “anti” che vi si può affiancare. Cosa significa questo antitetismo di sfondo? La filosofia negativa, ovvero quella che indaga l’oggetto a partire da ciò che esso non è per arrivare a definirlo a suon di esclusioni, ha informalmente preso il sopravvento sul realismo mediato del sapere. Se incontro una persona per strada e gli chiedo ”chi sei?” avrà senza dubbio una crisi isterica interiore; se invece gli domando “chi non sei?” oppure “a cosa sei contrario?”, sono più che certo che sfodererà una lunga lista di definizioni prêt-à-porter.
Già, un disastro. L’uomo non sa più chi è, convinto invece di sapere cosa non vuole essere, finendo così per perdersi nel mare della inconsistenza ontologica ed antropologica del suo vivere: la tristezza.
Guai, però, a non conformarsi al sistema dell’anticonformismo: se tu non dimostri la patente delle antitesi che hai meritato lottando fra i post dei social network o le birre al pub, non sarai mai un vero uomo e la società, di te, non saprà che farsene.
Esattamente. La società, che ti vuole omologato al non-vivere tecnofluido, non ti vuole. Non si plasma al godimento del mercato dei beni e delle idee chi ha il valore, l’onore e la maestranza di essere sé.
La moda dell’essere sfacciatamente contro qualcosa bada caso ricade sempre su elementi forti. È logico, se ci pensiamo, perché andare contro qualcosa di debole è contrario al buon senso, alla buona educazione e alle più elementari strategie di guerra. Un nemico debole cade subito, non c’è bisogno di spendere tante energie. Per ciò che è forte, invece, bisogna sfoderare l’artiglieria pesante.
Allora, guardandomi attorno, ho pensato di lanciarmi anche io ad essere contro qualcosa, provando a “fottere-il-sistema” come si dice, mettendomi in fila per ricevere la medaglietta sul cappellino. Sì, lo proclamo orgogliosamente: sono “anti”. Ma anti che cosa? Anti pensiero debole, anti antitetismo della vacuità, anti disgregazione della esistenza, anti rovina delle identità sovrane e del valore delle culture, anti un sacco di cose.
Anti-anti, antipaticamente.