Pasolini, “inattuale”

 

Pasolini, “inattuale”

Con il titolo “La lunga incomprensione”, diversi anni fa, è uscito un buon libro che ripercorre il disagio e l’aperto conflitto vissuto nei confronti dello scrittore e regista Pier Paolo Pasolini da parte del PCI e della Destra (sia quella bacchettona della DC sia del radicalismo piccolo-borghese del MSI e dintorni). E a pesare, più che il contenuto dei suoi primi romanzi, fu l’omosessualità in clima di moralismo in cui si viveva immersi negli anni ’50 e metà di quelli ’60. Poi l’irrompere della contestazione del ’68 e le posizioni da lui assunte, fortemente critiche (ci tornerò sopra), non ne rasserenarono i rapporti il giudizio. Gli autori sono Gianni Borgna, dirigente comunista e assessore alla cultura del Comune di Roma nella giunta Veltroni, e Adalberto Baldoni, giornalista e già dirigente del Movimento Sociale. (Quando il 15 ottobre del 1960 mi iscrissi alla Giovane Italia, Adalberto fungeva da responsabile provinciale. E, nonostante le nostre strade divergessero, si mantenne reciproca stima e amicizia. Qui ricordo l’affettuoso biglietto che mi inviò alla morte di mio padre. Così, scrivendo egli numerosi libri, in più occasioni ci siamo sentiti e mi ha sempre correttamente citato. Come in questo su Pasolini. E fui fra gli invitati alla presentazione, in una prestigiosa sala del Campidoglio, in cui intervennero Valter Veltroni, che mi gratificò di idiote occhiatacce, e il sindaco Gianni Alemanno, inutile e dannoso). “Ragazzi di vita” è del 1955; del 1959 “Una vita violenta”. Il sottoproletariato le borgate i protagonisti lo scenario (quel Lumpenproletariat tanto dispregiato da Marx e osteggiato dai comunisti nostrani). Illuso come fosse l’alternativa ai modelli borghesi onnivori e omologanti. E la classe operaia, in fondo, desiderosa della seicento e della settimana da trascorrere sulla costa romagnola… L’eroe pasoliniano, al contrario, è un violento, prigioniero del quotidiano ‘arrangiarsi’, ai margini della legge e della convivenza sociale. Un primitivo che trasforma la modernità in jungla e il benessere a lui estraneo in preda. Un bambino troppo cresciuto e mai divenuto adulto, impaziente e incapace di dominare passioni e desideri. Libero e ‘fascista’, secondo una vulgata di parte della pseudo-cultura progressista. (Anarcofascismo? Beh, non esageriamo. Ci sentivamo fummo e siamo altra cosa, certo, ma con confini a volte fragili). 1 marzo ’68, Valle Giulia. Bastoni e barricate in una mattina in cui pensammo come lo slogan “Siate realisti. Chiedete l’impossibile!” fosse già nelle nostre mani, in menti ardite e cuori avventurosi. E Pasolini ci venne contro con la celebre poesia in cui ci descriveva borghesi dalla faccia cattiva e a difesa del poliziotto, figlio (degenere) del contadino urbanizzatosi. Non migliorò certo il disagio, il distacco. Ormai egli andava arando in spazi altri e, in qualche modo, solitari come avviene sovente ai poeti che si rendono, come interpretava Nietzsche, ‘inattuali’… In tal senso possono definirsi gli Scritti corsari sul Corriere della Sera che si inaugurano con un articolo, in data 7 gennaio 1973, dal titolo Contro i capelli lunghi. Nelle ultime righe si legge: <<Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino>>. Senza cinismo la sua vicenda si conclude ambigua e sofferta sul lido di Ostia mentre la mia, simile a candela, sempre con i capelli lunghi, pur se ormai bianchi e sfibrati. Oppure l’intervista, che volle realizzare per la televisione, al poeta Ezra Pound, attento e rispettoso discepolo, quasi come un figlio di fronte a un padre tanto amato e infine ritrovato. E come non ricordare l’ultima sua poesia, scritta in lingua friulana ed edita nella raccolta “La nuova gioventù” (1974), intitolata “Saluto e augurio” e rivolta ad <<un fascista giovane, – avrà ventuno, ventidue anni: – è nato in un paese – e è andato a scuola in una città>>. A lui egli affida difendere il mondo contadino, <<i paletti di gelso o di ontano – … i campi tra il paese – e la campagna, con le loro pannocchie – abbandonate>>. E tutto ciò gli viene affidato in quanto <<Destra divina – che è dentro di noi>>. Leggendola mi sono rammemorato di una notte, metà anni ’60, quando fu deciso – come eravamo improvvidi e smarriti! – di tirargli contro un barattolo di escrementi nei pressi della Casa dello Studente. Di tutta la vicenda ed esito si trova nel libro di cui sopra, fedelmente riportati da Baldoni. Ricordi ormai lontani… Eppure nella mente mi risuona la sua voce che mi grida dietro <<Al ladro! Al ladro!>>, ben sapendo che si trattava di un fascista da raggiungere e linciare.

                                                                                                                

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