Bastian Contrario non ha alcuna intenzione di entrare a gamba tesa nell’agone delle elezioni, della loro povertà di contenuto dei volti che si stampano, parodia di icone, di sigle reiterate o nuove di promesse e di bla-bla-bla di un teatrino abusato dove i guitti e i saltimbanchi trovano palcoscenico. E non intende entrarvi con un sussurro in punta di piedi educatamente chiedendo ‘permesso’. Non oso dire per stile, no, un po’ di buon gusto tanto basta. E, poi, mi trattiene uno dei miei eroi fin dall’infanzia, lo spadaccino dal gran naso, abile nel battersi e comporre versi. E me lo ritrovo con la testa bendata esangue fiero e disperato in quell’ultima scena ove duella trasognato e visionario contro Menzogna e Viltà e Compromessi e Pregiudizi e la Stoltezza… ‘Io venga a patti? Mai! … Io so che alfine sarò da voi disfatto; – ma non monta: io mi batto, io mi batto, io mi batto’. Me lo ritrovo, magari con parole e musica di Francesco Guccini, e lo sguardo e il dito levato verso la luna sono d’ammonimento.
L’unica affermazione decente, contraddetta nei fatti (gli uomini e le parole viaggiano sovente come rotaie in parallelo e per incontrarsi solo in immaginario infinito, ottico inganno…), che conservo volentieri di P.R. è ‘la democrazia è infezione dello Spirito’. Compreso il votare perchè, suppongo, essa s’intendesse riferire a quella liberale, di stampo borghese, con illusioni di rappresentanza e inganno partecipativo. Se, però, vi sono uomini e realtà che si adoperano, anche in questa attuale competizione, ad esserne tentati e contare, al contempo, d’esserne immuni, vada loro il serto e l’alloro. Anzi, magnanimo, vengo loro incontro con autorevole richiamo.
In un articolo apparso su Il Popolo d’Italia, in data 26 aprile 1921, a proposito delle elezioni e della partecipazione ai Blocchi Nazionali, dove i legionari su indicazione di Gabriele D’Annunzio avevano rigettato, Mussolini scrive: ‘Riserve sui Blocchi vengo-no anche dagli elementi che chiameremo i ‘puri’. Sono le più disinteressate. Ma la vita, per chi non voglia trascorrerla nella solita remota torre d’avorio, impone certi contatti, certe transazioni e, diciamola la parola terribile, certi compromessi. Pagine di compromesso sono nella vita di tutti i grandi uomini, dagli antichi ai recenti e non sono pagine di vergogna, sono pagine di saggezza. Un conto è fare del compromesso un sistema di politica e un conto è accettarlo quando si presenta come una necessità In tal caso non si tratta di seguire o ripudiare dei ‘principi immortali’, ma si tratta di valutazioni di ordine pratico’. (Purtroppo a troppi e troppo proibitivi compromessi il Fascismo si adattò per conquistare il potere e per costruirsi il consenso e la Storia ne pretese il conto nel momento più drammatico… ma questo conta poco o niente perchè ogni generazione pretende essere immune da errori e inganni).
E, ormai sono cinquant’anni, andando a votare (una delle poche volte, lo confesso) introdussi nell’urna la scheda con su scritto ‘Viva Hitler viva Mao viva la rivoluzione!’ e, qualche giorno dopo, una delle scrutatrici – ci si conosceva fin da ragazzi -, incontrandomi, con una risata mi disse che solo io potevo aver avuto simile pensata. Era il ’68 o l’anno successivo. L’anno della contestazione giovanile delle facoltà occupate e di Valle Giulia, ma a seguire dell’autunno caldo e della strage di Piazza Fontana.
Già, quel 1 marzo del ’68, a Valle Giulia, di fronte la facoltà di Architettura, la celere i carabinieri i manganelli i lacrimogeni. Una icona, un poster. Potersi vantare, dire ‘io c’ero!’, mostrando in prima fila un ragazzotto esile occhialuto i capelli lunghi con una bottiglia in una mano e nell’altra ciò che restava dell’asse di una panchina. Mattina di primavera annunciata, inno alla gioia, la grande illusione, come cantava Battiato si respirava ‘aria di rivoluzione’…
E venne Valle Giulia fu un buon libro, scrivo sempre buoni libri, edito dieci anni fa. Tutto o niente, allora; con cinquanta anni di distanza da quel ‘68, amletico dubbio(!): si va a votare oppure si resta alla finestra? ‘Prendere le distanze’, Nietzsche docet. Ed io chissà…