Le borgate dell’Arte [3]: il Villaggio Giuliano-Dalmata a Roma
(In foto: panoramica aerea del villaggio)
“la fuia scampada de la rama” (=la foglia scappata dal ramo) dalla poesia Rumasse di Loredana Bogliun
10 Febbraio 1947 ( non a caso Giorno del Ricordo) l’Italia scalcinata di De Gasperi firma il trattato di pace con le “ Potenze Alleate e Associate “ tra cui la Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia, una resa di territori della Patria, senza condizioni, con tanto di indennizzi di guerra versati nelle tasche rosso sangue di Tito.
« Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me […] sconsolata riflessione dell’Alcide tutt’altro che “robusto” stando all’etimo del nome. Dal ’45 al ’47 ci fu la pulizia etnica, protrattasi ben oltre quel 10 febbraio, i partigiani di Tito cancellano ogni traccia d’Italia in Istria, Fiume, Dalmazia, numeri da vergogna per il CLN e la neonata Repubblica dei brogli. Circa 300.000 italiani scacciati dalle terre un tempo irredente, 20-30.000 martiri delle foibe carsiche, altri patrioti seviziati prima d’ essere finiti come il maestro Giuseppe Tosi, classe 1890, una vita consegnata all’insegnamento nella scuola elementare di Valosca nel Quarnaro, medaglia d’oro del MPI, Ispettore scolastico dal ’45“. Fu percosso a morte. Grondante di sangue chiese un po’ d’acqua. Uno dei suoi carnefici riempì un bicchiere con il sangue che grondava dalle sue ferite e lo porse al morente imprecando. Tosi lo bevve e disse di non aver mai bevuto un vino migliore. Un altro sgherro prese la pistola e gli sparò” il suo corpo fu gettato in mare.
Gli esuli furono dispersi un po’ dovunque, un’autentica diaspora dei giuliano-dalmati mandati lontano persino da Trieste e Venezia, vilipesi in Patria dall’odio dei comunisti nostrani. Nel ’47 arrivarono a Roma le prime 12 famiglie giuliano-dalmate, si decisero a “occupare” i dormitori del villaggio operaio dell’EUR, dove, dal ’36, riparavano le maestranze impegnate nell’edificazione dell’E42 mai inaugurata a ragione del conflitto. Erano le prime foglie scampade de la rama che il vento aveva portate fino a Roma, ne seguirono altre 150 nel ‘48 sempre autoconfinatesi in quel villaggio sulla Laurentina al n. 638, sempre meglio di conventi, campi profughi o addirittura il lager della Risiera di San Sabba a Trieste dove venivano “nascosti” gli esuli.
Fu l’Opera Nazionale Assistenza Profughi col portafoglio generoso di imprenditori mecenati come l’Ing. Oscar Sinigaglia, a ristrutturare quei padiglioni operai ricavandone delle miniabitazioni indipendenti e a costruire la Casa della Bambina per le orfane dai 6 ai 12 anni più una chiesetta dedicata al San Marco patrono di Venezia città madre per l’Istria e la Dalmazia. Nel 1950 verrà eletta a Parrocchia col nome di “ S. Marco Evangelista in Agro Laurentino” per distinguerla dall’omonima chiesa posta sotto il Campidoglio con vicino il busto di madama Lucrezia.
Sarà del ’72 il nuovo avveniristico edificio sacro degli arch. Ennio Canino e Vivina Rizzi che andrà a sostituire il precedente complesso. Giovanni Gronchi inaugurò ufficialmente il villaggio giuliano-dalmata nel ’56, fu l’imprimatur ad un insediamento abusivo, ormai gli esuli residenti erano arrivati a quota 2.000. Negli anni a seguire quelle casette ricavate nei padiglioni vennero demolite in successione per far posto a nuove palazzine di edilizia economica ma dignitose, viali alberati, botteghe artigiane, una nuova scuola elementare intitolata al maestro pedagogo Giuseppe Tosi, il villaggio spontaneo diventa ufficialmente un quartiere romano servito anche dalla Metro B fermata Laurentina.
Una comunità quasi nascosta ma fiera delle propria cultura, non perde la memoria e la consegna ai propri figli attraverso la fisicità dei simboli come il cippo carsico in ricordo dei caduti giuliano-dalmati nella prima Guerra mondiale (1961) cui segue nel 1962 il mosaico e la targa in ricordo dell’esodo collocati a piazza Giuliano-Dalmati, Il quartiere diventa un percorso della memoria, ancora ben salda nelle proprie radici italiane come testimonia la recuperata lupa romana di “Pola Fedele”. Ignoranza e negazionismo di quel dramma non possono accampare l’onanismo negazionista o puerili scuse d’ignoranza, vero Rutelli? Sono le facce di Giano di un’ideologia dell’odio o furbamente pelosa, come quei testi di storia truccata dati in pasto al gregge degli studenti.
Purtroppo una battaglia gli esuli l’hanno persa, il nuovo Istituto Comprensivo del quartiere è stato intitolato, dagli ottusi, a Indro Montanelli di Fucecchio in Valdarno, che c’azzecca (?) contro la volontà espressa dall’intera comunità, Giuseppe Tosi resta il nome soltanto d’ un plesso delle elementari.
(Nelle foto: Monumento in ricordo dell’esodo; Ceppo carsico per i caduti; Antico accesso al quartiere)