I dazi sull’acciaio e la siderurgia italiana
La Commissione Europa e, timidamente, il governo italiano hanno protestato per i dazi che il presidente americano Trump vuole imporre sulle importazioni di acciaio e alluminio. Premesso che questa sua mossa nasce dalla volontà di difendere le industrie e i lavoratori americani (“Breitbart News” ha così intitolato un suo pezzo: “I lavoratori americani, le cui vite sono state danneggiate dagli accordi di libero commercio per le multinazionali, ringraziano il presidente Trump per aver firmato la legge sui dazi d’importazione per proteggere i posti di lavoro americani”), analizziamo la situazione delle siderurgia italiana.
In Italia ogni anno si producono 47 milioni di tonnellate di vari tipi di acciaio: di questi, solo 505.000 (ossia, poco più dell’1%) viene esportato negli Usa, e quindi il danno è leggerissimo. A parte ciò, prima di lamentarci dei dazi dovremmo fare piuttosto in modo di ripristinare l’italianità delle maggiori imprese italiane del settore. Infatti, oggi la situazione proprietaria è la seguente:
“Terni” e “Berco” sono in mani tedesche; “Gatti e Precorvi” sono in mani francesi; il Gruppo “Lucchini” è di proprietà russa; le Acciaierie di Piombino sono possedute dalla “Cevital” algerina; la “Teksid” è della FIAT la quale è solo apparentemente italiana; la ben nota “Dalmine” è – tramite la controllante “Tenaris”, che possiede anche l’importante “Pignone” all’avanguardia in materia di produzione di tubi e impianti petroliferi – di proprietà olandese; la “Cogne” è proprietà di un gruppo svizzero. Sappiamo poi tutti la situazione dell’ILVA di Taranto, già di proprietà della famiglia Riva, praticamente spenta.
Resta in mani italiane solo la “Marcegaglia”, tra i grandi complessi, insieme a piccoli impianti che producono materiali per l’uso interno (edilizia, costruzioni stradali, materiale ferroviario).
Nel passato, nell’ambito delle finanziarie dell’IRI, c’era la “Finsider” che aveva potenziato questo settore nazionale con la costruzione di quattro importanti centri siderurgici. Con le privatizzazioni attuate dai governi rinunciatari dopo il 1993 (ricordiamo la famosa riunione sullo yacht “Britannia”), gran parte delle imprese nazionali sono passate in mani straniere le quali decidono cosa e quanto produrre, stando attente a non farsi fare la concorrenza ai loro Paesi. E’ esemplare il caso delle “Acciaierie Speciali di Terni”, uno stabilimento all’avanguardia tecnologica, che è stato acquistato dalla “Thyssen Krupp” la quale ha innanzitutto eliminato il reparto che produceva acciai speciali (un’eccellenza italiana!) che facevano concorrenza ai suoi in Germania. Su questa vicenda, ci sono stati negli anni passati – e spesso riemergono – forti proteste da parte dei lavoratori e dei sindacati.
E dovremmo poi parlare, per quanto riguarda l’alluminio, della chiusura degli stabilimenti “Alcoa” – nati durante l’autarchia fascista ma poi acquisiti da un’impresa americana – perché i costi erano elevati…provocando disoccupazioni e proteste del territorio in Sardegna dove si trovava.
Quindi, prima di protestare per i dazi altrui, nazionalizziamo e potenziamo le nostre, di produzioni!
Un’ultima osservazione: i dazi e le trattative commerciali bilaterali che vuole stabilire Trump segna il tramonto del commercio mondiale senza limiti impersonato dal WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cui costituzione è stata a suo tempo promossa proprio da un altro presidente americano, Kennedy. Eterogenesi dei fini!