Una bugia a cinque stelle: il reddito di cittadinanza secondo Di Maio
In questi giorni si discute sulla promessa elettorale “grillina” di un reddito di cittadinanza. I commenti vanno da “dove trovano i soldi” al “li hanno votati i meridionali ed i nullafacenti”. Vorrei a questo punto entrare, relativamente allo spazio concessomi, nel merito della questione.
Se facciamo un passo indietro di alcuni decenni e sfogliamo i giornali tra la fine degli anni ’60 ed i ’70 scopriamo che il principale problema per l’umanità futura, secondo queste riviste, sarebbe stato il tempo libero. Il tempo libero si sarebbe amplificato in virtù non solo di un benessere economico in crescita ma anche perché il lavoro manuale sarebbe stato trasferito alle “macchine” (si era ancora lontani dalla società informatizzata anche se di robot si favoleggiava) e quindi l’umanità, affrancata dal lavoro manuale, avrebbe dovuto trovare il modo di impegnare il su tempo altrimenti.
Nulla di tutto ciò è avvenuto. Gli anni ’70 sono stati i prodromi di crisi che si sono succedute e nonostante la crescita tecnica e scientifica che ha visto nascere una società informatizzata, tecnologica ed ormai robotica, l’umanità è generalmente più povera, con problemi d’occupazione e non certo di tempo libero al punto che non è nelle condizioni di occuparsi né di sé stessa né della propria prole. Alla faccia del tempo libero!
In pratica non lavorare non è stata una scelta, come si era favoleggiato, ma una disgrazia capitata tra capo e collo come fosse, ma non era, una fatalità.
Ora non entrerò nel merito di una crisi, che ritengo indotta e non scatenata da fatti incontrollabili come la stampa ci racconta, ma bensì su questo “presunto” reddito di cittadinanza promesso dal M5S: credo non sia una sorpresa per nessuno che la proposta “grillina” sia un semplice sussidio di disoccupazione, sul modello tedesco o belga, e non il reddito di cittadinanza sbandierato.
Per chiarirsi il “reddito di cittadinanza” è un reddito universale riconosciuto a ciascun cittadino indipendentemente dal censo, indipendentemente dal fatto che il cittadino lavori o meno ed indipendentemente dall’obbligo di seguire corsi di formazione professionale per il reinserimento lavorativo. Il reddito di cittadinanza ha, nelle intenzioni dei suoi sostenitori, un carattere universalista ed incondizionato. (per approfondire si può rintracciare in rete gli scritti di Andrea Fumagalli, docente di economia all’Università di Pavia )
Il Fumagalli segue una strada anarchica e radicale, per reperire i fondi di tale reddito, che certo poco si attaglia alla mia visione statalista e comunitaria ma credo che chi sia curioso possa trovar spunti dai suoi scritti.
Quindi ora scopriamo (come se non lo sapessimo) che in verità nella migliore tradizione liberista e borghese il M5S punta ad un sussidio di disoccupazione mantenendo il controllo del lavoro (e del denaro) nelle mani di un mercato che ha bisogno di manodopera formata ed a basso costo; manodopera che, nel progetto, dovrà accettare il lavoro assegnatogli pena il decadimento del sussidio.
Insomma o accetti o sei fuori. Bel reddito di cittadinanza!
Ora è il momento di collegare “i fili” di questo breve pezzo ed accarezzare le possibilità che darebbe il vero reddito di cittadinanza.
Possiamo immaginare, lo calcola il prof. Fumagalli, il reddito di cittadinanza un emolumento tra gli 800 e i 1200 euro (si basa sulla vecchia economia con moneta non a debito) ed io do per buono questo calcolo e prego i lettori di concedermelo (per ora). Questa cifra non aiuta certo a sognare: non si accendono mutui, non si fanno viaggi, né si acquistano oggetti di lusso o tecnologicamente avanzati etc. etc. Però, questo emolumento, mette due punti fermi:
il primo che il cittadino è “comproprietario” dello Stato e quindi oltre a pagare le tasse possiede anche in percentuale “il tesoro” dello Stato.
Il secondo che questo emolumento è una base per poter lavorare e non come molti pensano per non far nulla.
Anche se può sembrare strano ma, se si riflette, una persona sana ha comunque passioni e desideri che può incrementare con il lavoro. Quello che si sceglie, a questo punto, gli darà quella differenza di reddito che può farlo crescere organicamente nella società.
Il sussidio di disoccupazione invece farà “ammalare” il cittadino che non solo si sentirà non partecipe del sistema sociale ma bensì un semplice ingranaggio, punterà a dilazionare l’ingresso nel mondo produttivo ed a procrastinare la rendita fino agli ultimi termini, sarà insofferente nei confronti di una formazione che risponde più alle esigenze di industrie e capitali che alle proprie aspirazioni di essere umano.
Certo dobbiamo fare uno sforzo per immaginare una società in cui l’obiettivo non sia il televisore gigante per seguire i mondiali, o l’ultimo telefonino e la serata “da sballo” nel locale alla moda. Piuttosto immaginare chi decide di intraprendere un mestiere con basso reddito ma interessante (il liutaio, il filoso, il ricercatore, il contadino etc) svincolato dal controllo liberal/capitalista ma all’interno di una società partecipata e di proprietà come potrebbe essere uno stato moderno. Avere l’obiettivo di una famiglia, allevare i propri figli, la libertà di crescere e di fare quello che si desidera in armonia con il territorio e la società.