Le femministe, che noia!

 

Le femministe, che noia!

[Riceviamo e pubblichiamo questo simpatico scritto di un nostro lettore]

In quella società distopica degna di Huxley in cui si è trasformata la perfida Albione, due femministe hanno inscenato una protesta in una piscina a Dulwich, a sud di Londra. In boxer e seno nudo hanno gridato: “Siamo uomini!”.

La solita pagliacciata femminista, sembrerrebbe. Invece si tratta di una protesta contro l’iniziativa del governo (conservatore!) di Teresa May, che sembra voglia imporre il libero transito di uomini che si sentono donne negli spogliatoi femminili, in nome del “gender fluid”. Insomma: ognuno all’ingresso afferma di essere maschio o femmina e finisce nello spogliatoio che più gli aggrada. Non conta ciò che sei, ma ciò che ti senti di essere in quel momento. Alle femministe questo non piace ( e non dovrebbe piacere nemmeno alle persone normali, se ce ne fosssero ancora in Albione) e certo stavolta non possiamo darle torto. Mi limito ad aggiungere che se una categoria radicalmente sovversiva come le femministe si trova dalla parte del buonsenso – scavalcate dagli ultimi sviluppi del transessualismo queer sponsorizzato da un governo conservatore- beh, davvero siamo già oltre la distopia di “Brave new world”. Se le femministe diventano controrivoluzionarie, allora siamo ben oltre la follia.

Se c’è una tipologia di persona che mi irrita ancora di più della femminista classica è la femminista di destra. Ne troviamo tanto soprattutto tra le berlusconiane, ma alcune portano metaforicamente la camicia nera e qualcuna persino quella verde.

Sono le ultra-individualiste in tacco 12. Le più combattive spesso fanno politica o le giornaliste per le riviste patinate. Le riconosci subito perché sono terribilmente narcise. Ossessionate dalla cura del proprio corpo, a volte esteticamente gradevoli (a differenza di certe orribili e trasandate colleghe del femminismo classico di sinistra) rifiutano spesso i complimenti maschili asserendo di volere essere apprezzate per le proprie doti intellettuali. Il grosso problema è che nel loro caso le doti intellettuali non ci sono.

Sono quelle che detestano l’islam non perché è una religione non veritiera, e nemmeno estranea, ma perché è una religione prescrittiva. Invece di interpretare la religione islamica come tradizione deviata, la intrepretano come autentica Tradizione, che odiano con tutte le loro forze. Sono le signore dell’individualismo sovrano, che mettono relativisticamente sullo stesso piano tutte le scelte, dalle più nobili alle più ignobili, sostenendo che quello che conta è che l’individuo – soprattutto se di sesso femminile – le abbia prese liberamente (se però i media gli hanno preventivamente fatto il lavaggio del cervello per loro è irrilevante). Per questo all’islam contrappongono tutti gli aspetti deteriori della nostra cultura – dalla libertà di abortire a quella di guardare liberamente film porno – omettendo quelli superiori, sacrali, trascendenti, culturali, identitari, che non sono nemmeno in grado di capire intrise come sono di materialismo pratico consumista ed edonista. Vedono nel velo islamico il simbolo del patriarcato e gli contrappongono il tatuaggio e la minigonna della giovane omologata occidentale, facendone delle bandiere del nulla.

Credono anche di essere contro il femminismo classico perché ne rifiutano l’egualitarismo, accettandone però l’individualismo, per non dire l’egoismo. Quello che veramente rifiutano – accanto alla concezione sacrale del mondo e della vita – è ogni senso e spirito comunitario, che naturalmente è incompatibile col il loro narcisismo sfrenato. E nemmeno capiscono che l’individualismo è solo l’altra faccia (e la premessa logica) dell’egualitarismo da loro aborrito. Spesso mercatiste e globaliste, concepiscono la società come semplice convivenza , rivalità e scontro di interessi individuali.

Vi sono solo individui liberi e uguali, e come diceva la loro amata signora Margaret Thatcher “non esiste la società, ma solo gli individui”. La Thatcher aggiungeva “e le famiglie”, ma in questo è rimasta un gradino indietro.

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