Perchè il bene è così fragile?

 

Perchè il bene è così fragile?

Nuovamente l’Olanda è caduta sotto i riflettore per essere fra i Paesi che, più di altri, amano il popolo, al punto di avvantaggiarne la morte con mezzi sempre più low cost e reperibili istantaneamente. È verificabile quotidianamente l’avanzare di una cultura della morte che soffoca, opprime con ingannevole leggerezza, la cultura della (e per la vita) al punto di decretare l’uccisione come bene maggiore del poter vivere.

Una cooperativa nata nel 2013, di circa 22000 soci, Laatste Wil, sponsorizza nelle città olandesi una particolare “polverina bianca”, un conservante biologico lavorato e modificato chimicamente – come ci informa Avvenire- che, a seguito dell’assunzione, provoca la morte nel giro di massimo due ore. Il network Nos ha raccolto testimonianze di quello che accade per mano degli agenti della cooperativa “L’ultima volontà”, dalle quali apprendiamo che la vendita avviene porta-a-porta e l’effetto è praticamente indolore, fatto salvo una leggera emicrania, a cui fa seguito un brusco calo della pressione sanguigna, il coma immediatamente successivo, poi la morte. Si può avere accesso al suicidio compiuti i 18 anni, dopo almeno sei mesi dall’iscrizione alla cooperativa, per la modica cifra di 7,50 euro.

È già apparsa sui giornali la prima vittima dell’associazione, una diciannovenne, Ximena Knol, in forte depressione post-abuso sessuale, del quale era vittima. La giovane aveva già fatto richiesta al medico di sopprimerla mediante eutanasia, ma questi si era rifiutato vedendo accanto alla ragazza una famiglia amorevole e uno psicologo attento al suo accompagnamento terapeutico, così Ximena ha sfruttato questa ingannevole via d’uscita legale, privandosi di ogni alternativa con una banale polvere sciolta in un bicchiere d’acqua, come un’aspirina.

I cittadini portano avanti una feroce protesta contro gli enti che garantiscono e promuovono la morte facendo perno sulla fragilità di persone, segnate da momenti di crisi e sconforto, non necessariamente legato a malattie gravi o fasi cliniche terminali, semplicemente preda di paure, timori e problemi, privati o familiari, che in quel determinato momento affievoliscono la speranza. Il modo migliore per amare è quello di uccidere o istigare il suicidio di altri uomini la cui libertà drasticamente minata dalla comprovata mancanza di lucidità dettata dalla crisi e dall’esasperazione? È questa la nuova solidarietà di cui l’uomo evoluto è capace? Hanno ragione lo psicologo e i genitori della ragazza olandese, quando incalzano la loro rabbia nei confronti di un sistema culturale e politico che si aliena al cospetto di una condizione di profonda disumanizzazione civile, giuridica, etica secondo la quale, per efficienza e produttività, lo scarto selettivo, indotto dal singolo verso se stesso e da terzi verso l’estranea debolezza, è la libertà maggiore.

Una libertà senza vita che possa esprimerla che libertà è?

Nel cortocircuito del relativismo, nella piaga dell’indifferentismo, l’uomo diviene degno solo se conforme, la sua vita apprezzabile se meritevole: una dicotomia in collisione, formata da temporanee gratificazioni evanescenti di dominio sull’origine e sulla fine, che si prestano alla schiavitù dell’abbandono, forgiando gravi pretese, tra cui che la nudità dell’essere semplicemente uomini non sia abbastanza dirompente per riconoscerne l’incontenibile bellezza e abbia bisogno di nuove motivazioni.

L’oblio della gracilità ci divora impreparati quando si fa presente. Generalmente si suppone che il paziente voglia tentare la vita, abbia speranza. Oggi invece l’ipotesi più accreditata è che per salvarsi voglia essere ucciso.

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