Sulla “emergenza educativa”

 

Sulla “emergenza educativa”

Nei giorni in cui l’unico raggruppamento di “destra”, rimasto sul palcoscenico politico, oscilla con ruolo ancillare tra i 2 protagonisti, senza curarsi e preoccuparsi del penoso ristagno elettorale, il foglio, un tempo prestigioso, dell’area arriva a proclamare “Governo: il centrodestra intravede uno spiraglio: “Speriamo sia la volta buona”.

Altri, più pesanti e più coinvolgenti, temi dovrebbero godere di attenzione e di riguardo. Spetta dunque, come è di fronte l’argomento scolastico, ai cittadini osservarli e trarre un giudizio ed una posizione conseguenti.

Grazie all’effetto imitativo, psicologicamente crudele nel caso delle violenze femminili, è indubbiamente “impressionante” la “sequenza di insegnanti intimiditi e maltrattati da “branchi” di studenti, che si filmano e si rilanciano sui social”.

Antonio Polito si è interrogato sull’”emergenza educativa che dovrebbe costringerci tutti a riflettere e ad agire per ripristinare un principio di autorità nelle nostre scuole”. L’editorialista, pur così attento nell’accertamento dei mali, ovvero della situazione, si dimostra infelice e conformista sulla terapia da adottare. Senza calcolare gli effetti dello smantellamento dello Stato, in corso dal primo secondo dopoguerra con l’impossessamento da parte della sinistra di gangli vitali della società, disprezza quanti, con fondamento assoluto, denunziano il remoto ma sempre vitale devastante precedente del ’68 e rimpiangono i “bei tempi andati”. Da pedagogo, anzi da predicatore vano e vago, dopo averne rilevato la necessità, o meglio l’ineludabilità, escogita la formula della leva “sullo spirito critico dei nostri ragazzi, oggi mille volte più stimolabile che in passato, per indirizzarlo verso il bene, piuttosto che verso il male”. Faticosamente ma in maniera quasi forzata, individua le responsabilità, però, non nella politica e nei partiti e principalmente nei governi, tra i peggiori, come scontato e ovvio, quelli di Renzi e di Gentiloni ma comodamente nello Stato, termine oggi divenuto generico e astratto, “che ha consentito di trasformare i docenti nella categoria di laureati peggio pagata. Lo ha fatto un’austerità di bilancio che ha salvato molte spese inutili ma ha lasciato invecchiare e deperire il nostro corpo docente”. Il criterio di giudizio usato ha il difetto di essere meramente economico, mercantilistico e di trascurare l’aspetto culturale, arioso e non fazioso, pluralistico e non settario, di cui la scuola ha bisogno.          

E se il futuro è quello che si profila in un nebbioso orizzonte, esso appare oscuro, desolante, agghiacciante.

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