APPROFONDIMENTI: lo Stato democratico in San Tommaso d’Aquino
San Tommaso d’Aquino è un po’ come Aristotele: ipse dixit, ovvero ha detto tutto, ed è sempre una fonte entusiasmante cui attingere, certi di trovare un pensiero fresco e brillante, che non può che affascinare i suoi lettori. Di seguito propongo un breve studio sulla sua visione di Stato democratico.
- A) I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLO STATO DEMOCRATICO MODERNO (*)
Lo Stato democratico moderno, secondo la comune dottrina politica e giuridico-costituzionalistica (1) si fonda e si regge essenzialmente su quattro principi fondamentali, che ne costituiscono i pilastri di sostegno e i cardini su cui esso gira, ossia per i quali esiste e funziona.
Essi sono:
I- Il principio della sovranità popolare, per cui il potere radicale e supremo dello Stato risiede primariamente e indefettibilmente nel popolo, dal quale viene delegato e demandato, per il suo razionale, ordinato ed efficace esercizio, a determinate persone ed assemblee elettive e rappresentative.
II- La supremazia della legge, e specialmente della Costituzione, su tutti gli organi, individuali o collegiali, anche sovrani, dello Stato, ossia lo «Stato di diritto», secondo il principio: «A Deo rex, a rege lex» (da Dio il re, dal re la legge), in luogo di quello del regime assolutistico «a rege lex»; per cui tutti i poteri di tutte le istituzioni anche supreme dello Stato e delle persone che le incarnano provengono direttamente dalla legge e sono subordinati ad essa e delimitati da essa, espressione ultima e somma della sovranità e della volontà dello Stato e, indirettamente e in ultima analisi, del popolo; onde tutta l’attività pubblica e giuridico-privata nell’ ambito dello Stato viene regolata dalla legge imparziale ed impersonale e dal diritto oggettivo, e non dall’arbitrio dei governanti, la cui volontà ha da sottostare alla volontà della norma giuridica generale.
III- Il principio della divisione dei poteri, per cui le funzioni e l’esercizio della sovranità dello Stato devoluta dal popolo ai suoi rappresentanti vengono ripartiti tra le istituzioni od organi costituzionali dello Stato, individuali o collegiali, che costituiscono altrettanti «ordini» cui vengono affidate rispettivamente proprie e diverse funzioni costituzionali e che si controllano e si controbilanciano a vicenda, in modo da impedire il prevalere e il conseguente pericolo di prevaricazione, di sopraffazione e di dispotismo dell’uno o dell’altro organo, così da mantenere lo stabile equilibrio interno dei poteri e da salvaguardare le libertà politiche e civili.
IV- La tutela giuridicamente garantita dei diritti civili e politici di libertà dei cittadini (libertà di pensiero, di parola, di stampa, libertà religiosa, culturale, economica, familiare, ecc.) mediante precise norme costituzionali e appositi procedimenti anche giudiziari, pure a carico di atti dei vari organi o rappresentanti dello Stato.
- B) LE GRANDI LINEE DELLO STATO DEMOCRATICO IN S. TOMMASO.
Ci domandiamo: possiamo noi rinvenire i sopra enunciati principi dello Stato costituzionale democratico nella dottrina politica di S. Tommaso e parlare di un regime democratico «ante litteram» nelle sue opere?
1- Premetto che non possiamo pretendere di trovare in S. Tommaso un trattato completo sul regime democratico — pur avendo egli un trattato, il De regimine principum, sul regime politico in genere —, ma cerchiamo e troviamo i principi di esso, disseminati qua e là nelle questioni sulla costituzione, la natura e il fine ultimo dell’uomo, sulla giustizia e sul diritto, sulla legge, sull’ordine e governo divino dell’universo ed in altri passi, particolarmente nella I-II e nella II-II della Somma teologica, nel Commento alla Politica e all’Etica di Aristotele e nel De regimine principum; e soprattutto i principii, anche solo impliciti, dettati dalle esigenze armoniche del suo sistema teocentrico e antropologico.
E direi pure che bisogna procedere con cautela, osservando che i principii democratici moderni suesposti corrispondono certamente alla concezione politica di S. Tommaso e ricevono dai suoi testi dei corroboranti sostegni e dilucidazioni e rispondono alla sua impostazione etico-giuridica ed alle sue tesi sociali e politiche, ma notando pure che la democrazia in S. Tommaso è vista e impostata su basi più profonde e in una prospettiva più alta: non formale ma sostanziale, non statalistica ma personalistica, non individualistica ma comunitaria, non contingente-positiva ma sul fondamento universale della natura umana.
Mi pare che in S. Tommaso dovremmo parlare di «Stato democratico», più che di «regime democratico», per la differenza essenziale che intercorre tra i due termini: in quanto il «regime democratico» s’impernia sulle norme e strutture giuridiche costitutive ed operative dello Stato informate ai principii democratici suddetti, ma riguardanti l’organizzazione formale od articolazione dello Stato; mentre lo «Stato democratico» s’impernia e si caratterizza, ossia assume tale sua natura, la sua ragione d’essere e le sue finalità essenziali dai suoi rapporti di origine dal popolo e di ordine al popolo quale comunità di persone intelligenti, libere e corporali ordinate ad un fine proprio e trascendente, richiedenti, per la propria irradiazione ed il proprio perfezionamento, in quanto appunto «naturale est homini ut sit animal sociale et politicum» (l’uomo è ancora per natura un animale sociale e politico, in De regimine Vrincipum), la convivenza ordinata in una società perfetta, cioè autosufficiente e sovrana.
Il regime a strutture democratiche può infatti attuarsi, e si attua di fatto, anche nelle Costituzioni di certi Stati sostanzialmente antidemocratici, monolitici, assolutistici e totalitari, siano essi d’indirizzo socialistico, siano d’indirizzo liberale.
Per precisare, diciamo che abbiamo uno «Stato antidemocratico» in senso sostanziale o «totalitario», quando lo Stato presume di assorbire in sé la persona umana dei suoi cittadini, di rappresentarla nella sua totalità, di chiuderla nel proprio ambito d’interessi e di poteri e di soddisfarne da solo tutte le esigenze umane, e quindi di accentrare in se stesso e di riservare a sé, ossia di monopolizzare, la sorgente e la pienezza dei poteri sulla persona e dei diritti della persona, la quale li avrebbe e li potrebbe godere soltanto per positiva concessione dello Stato, sia pure democraticamente strutturato, non come inerenti al proprio essere, alla propria natura razionale e libera, alla propria soggettività o individualità incomunicabile e indistruttibile ed ai propri fini originari e irrinunciabili.
In tale specie di Stato, seppur verniciato da formalità elettorali e coperto da una facciata democratica, la persona umana non ha più ragione d’essere per se stessa ma solo per lo Stato, il quale invece pretende di avere da sé e per sé e in sé la propria ragione d’essere e di autorità, sia pure idealmente e formalmente basata sul principio della sovranità popolare, cosicché lo Stato, sia esso a formula liberale o socialistica, realizzerebbe l’Assoluto, fonte d’ogni potere sociale e personale e d’ogni legge, non solo giuridica ma perfino etica e religiosa, e la «ragione di Stato» costituirebbe il supremo imperativo di azione sociale e individuale, nel quale si fonderebbe e si annullerebbe ogni bene e valore e fine, oltre che gl’interessi, della persona, come la persona stessa, e a fortiori tutti i corpi intermedi, si risolverebbe e si annullerebbe nello Stato.
Tale Stato sostanzialmente totalitario potrebbe avere anche strutture giuridiche e leggi dispotiche e tiranniche od autoritarie, ossia un regime giuridico assolutistico, poliziesco e iugulatorio, ma non sarebbe meno invadente, antidemocratico e liberticida realizzandosi in istituzioni e norme giuridiche solo formalmente democratiche. In breve: lo Stato costituzionale democratico dei politici e giuristi moderni può realizzarsi sia in Stati sostanzialmente democratici che antidemocratici; lo Stato tomistico fondato essenzialmente sulla libera persona umana, non può essere che democratico, anche se il regime strutturale in cui si realizza può essere più o meno democraticamente sviluppato ed esplicitato secondo i diversi popoli, le diverse civiltà e l’evoluzione dei tempi.
San Tommaso guarda alla sostanza più che alla forma apparente della realtà: al principio animatore ed operativo, alla natura ed alle finalità dello Stato come tale, nella sua unità globale, sotto qualunque forma di regime, più che all’apparato od impalcature giuridiche formali; e ben distingue l’organizzazione o corpo istituzionale dello Stato dallo Stato effettivo nella sua realtà sociale. Egli, pur rispettando ed esigendo le istituzioni per la funzionalità dello Stato al servizio del popolo, ha tuttavia una nozione sociologica, o meglio personalistica, dello Stato, non un concetto istituzionalistico. Per lui, le strutture sono contingenti e variabili secondo le mutevoli condizioni sociali, mentre l’essenziale dello Stato è la sua realtà intrinseca e permanente, che nella sua concezione ha carattere essenzialmente democratico, inerente alla natura stessa dello Stato, perché inerente alla natura dell’uomo-persona.
Anzi, il regime libero, in cui si identifica sostanzialmente lo Stato democratico, per S. Tommaso è così connaturale all’uomo, che, se anche questi fosse rimasto allo stato d’innocenza del paradiso terrestre, sarebbe convissuto in società secondo un governo libero, il quale trattasse e dirigesse cioè i consociati come esseri «liberi», sia «in ordine al loro bene personale ed al bene comune» (2), sia per la perfezione dell’ordine provvidenziale naturale universale (3).
2- Volendo ora inquadrare ciascuno dei quattro principi fondamentali del regime democratico moderno nella dottrina politica di S. Tommaso, ci limiteremo a rilevarne i capisaldi in proposito.
a- Circa il principio della sovranità popolare, S. Tommaso non dimentica che anche il potere politico, come quello religioso, viene da Dio, sia pure per diverse vie. Il detto di Cristo a Pilato: «Non avresti alcun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’altro» (Gv.19,11), riassunto e scolpito lapidariamente da S. Paolo in quella serrata sentenza: «ogni potere è da Dio» (Rm.13,1), non può essere ignorato né travisato od attenuato, ed anzi viene messo a fuoco e portato da S. Tommaso alle sue coerenti e decise conseguenze teoriche e pratiche, morali e giuridiche, individuali e sociali, sull’origine e la natura, il valore e i limiti intrinseci ed estrinseci dell’autorità umana, qualunque essa sia, e degli ordinamenti umani, in quanto l’origine divina della sovranità del popolo, costituito dal corpo delle persone libere d’una determinata moltitudine omogenea, genericamente autosufficiente e organicamente ordinata a comuni ed unitari interessi superiori, si manifesta attraverso la naturale inclinazione sociale e politica della persona umana e si realizza attraverso l’attuazione cosciente e generale, esplicita o implicita, solenne o tacita, di tale connaturale tendenza divinamente insita in sé, dirigente e avente valore di ordinamento sociale originario e fondamentale, primario e supremo, che s’impone direttamente e per se stesso alle coscienze ed ai rapporti esterni dei consociati.
Inoltre, per S. Tommaso è la persona che costituisce il valore massimo e sommo del mondo: «id quod perfectissimum est in tota natura» (è ciò che più perfetto vi è in natura – Somma teologica, I, 29, 3) e che, creata da Dio ad imitazione di Sé, libera e padrona del proprio destino, tende a conseguirlo socialmente, attraverso la costituzione positiva od organizzazione giuridica dello Stato e nello Stato, nel quale perciò essa si realizza strumentalmente e gradualmente, come tappa intermedia necessaria per attuarsi sostanzialmente e pienamente, finalisticamente, al di sopra dello Stato e oltre lo Stato, che essa trascende per origine, per natura e per fini.
La sovranità dello Stato quindi per S. Tommaso risiede sì radicalmente nel popolo, ma come proveniente originariamente ed essenzialmente dall’ordinamento e dal movimento divino e come necessitata e giustificata dall’ordine congenito dell’uomo a Dio e in quanto il popolo stesso viene assunto nella classica accezione ciceroniana di «coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus» [è stato associato con la legge, con il consenso della Congregazione, e per il bene comune del gruppo – De re publica, I,25,39), ossia come società di persone libere coscientemente e giuridicamente organizzate tra di loro per il retto e sicuro conseguimento del loro fine supremo attraverso il retto ordine dei fini intermedi, cioè dei beni temporali, spirituali e materiali. La sovranità dello Stato perciò viene da Dio, ma tramite il popolo, e viene dal popolo, come ordinato da Dio.
In S. Tommaso pertanto possiamo parlare realmente di «Stato democratico» nel senso di «democrazia di popolo», più che di «democrazia di forme» o di strutture .
b- Circa il secondo pilastro della democrazia, quello della supremazia assoluta della legge sulla volontà dei governanti e degli stessi legislatori nello Stato, cioè dello «Stato di diritto», basterà ricordare in S. Tommaso i quattro elementi necessari per la costituzione d’una vera legge e i tre requisiti per la sua obbligatorietà.
1- Perché una legge umana sia legge, ossia esista come tale, occorre anzitutto che abbia fondamento nella legge divina ed eterna attraverso la legge naturale (cfr. Somma teologica, I-II, 95, 2) e l’esplicitazione e determinazione di questa nella legge positiva; per cui ogni legge umana, di ogni legislatore creato, ha valore obbligante solo in quanto sia subordinata e conforme alla legge divina, riconosciuta e accettata dalla retta coscienza dell’uomo come norma suprema, direttiva e selettiva di ogni altra legge e inderogabile; né può avere per sé alcuna sovranità sulle volontà dei cittadini né valore assoluto né una sfera illimitata, né può varcare la soglia del santuario della coscienza, riservato al solo Creatore e Governatore universale. Inoltre, poiché la legge naturale è partecipata attivamente e «detta» i suoi dettami in ogni persona, essa postula che ogni cittadino abbia il diritto inalienabile, corredato dai mezzi concreti di attuazione, di partecipare attivamente, direttamente o indirettamente, alla costituzione dello Stato e delle leggi.
2- La legge positiva umana ha la sua origine diretta o indiretta «ex publico condicto», «sive ex communi placito», «cum totus populus consenti quod aliquid habeatur quasi adaequatum et commensuratum alteri, vel cum hoc ordinat princeps, qui curam populi habet et eius personam gerit» (Somma teologica, II-II, 57, 2), ossia o in modo diretto o in modo indiretto, mediante il legislatore ordinario, sia esso una assemblea elettiva sia un «princeps» tacitamente e pacificamente accettato dalla generalità dei cittadini, in quanto l’una e l’altro non sono altro che «personam populi gerentes», ossia rappresentanti e delegati del popolo, e «curam populi habentes», ossia amministratori del governo e del bene del popolo stesso.
Non è legge pertanto quella che vada contro il certo volere razionale e retto della generalità del popolo, ossia contro la certa volontà della maggioranza popolare esplicita o tacita conforme al dettame della retta ragione naturale, cioè al fine ultimo dell’uomo ed alle sue giuste esigenze; e per converso quindi, il popolo stesso ha tutto il potere ed il diritto di abrogare o di emendare direttamente, con propri atti collettivi, leggi dei propri rappresentanti nello Stato difformi dai propri intenti ed interessi morali e sociali.
3- La legge ha, per S. Tommaso, natura razionale, prima che volontaristica, in quanto non è concepita come un «dettame della volontà generale», secondo l’odierna definizione di filosofi politici e di giuristi, ma come una «ordinatio rationis» (Somma teologica, I-II, 90, 1; 4), e quindi a fondamento oggettivo imponentesi alla ragione stessa e condizionante per conseguenza la volontà del legislatore, non a fondamento soggettivo e possibilmente arbitrario e dispostico come nella concezione volontaristica della legge; per cui la legge viene fondata sulla roccia incrollabile ed eterna del vero in sé, identificantesi col bonum commune e in ultima analisi coi dettami universali, imprescindibili e sostanzialmente immutabili del fine ultimo della persona umana, e viene quindi sottratta alle sabbie mobili delle opinioni, degli umori e dei capricci dei tiranni e delle assemblee e delle stesse moltitudini popolari, troppo aizzabili, infatuabili e deviabili dalla retta via.
4- La legge deve essere essenzialmente ordinata al bene comune (Somma teologica, I-II, 90, 2), premessa e disposizione necessaria per il fine ultimo e supremo della persona umana, consistendo esso nelle condizioni sociali (culturali, civili, sanitarie, politiche, militari, economiche, ecc.) necessarie per la realizzazione e la promozione della perfezione integrale dell’uomo: spirituale e corporale, temporale ed eterna.
Per l’obbligatorietà della legge umana «in foro conscientiae», ossia con valore di imperativo morale per esseri ragionevoli e liberi, e non solo sul piano della forza coercitiva, S. Tommaso pone tre requisiti essenziali {Somma teologica, I-II, 95, 4):
– e cioè, che la legge sia intrinsecamente giusta in ragione del suo fine, ossia ordinata e proporzionata al bene comune;
– in secondo luogo, che sia anche estrinsecamente giusta, sia formalmente, rispettando la proporzione delle capacità nei destinatari, stabilendo gli oneri in eguaglianza proporzionale alle possibilità di ciascuno in ordine al bene comune, sia quanto alla competenza legislativa, venendo emanata dal legislatore competente secondo la propria sfera di potere,
– non esorbitando da essa e non invadendo il campo di altre autorità, tanto nell’ambito delle altre istituzioni costituzionali dello Stato, essendo anche costituzionalmente corrette, quanto e soprattutto nel campo di altri ordini giuridici, come quello divino, ecclesiastico ed internazionale, evitando specialmente di violare le leggi divine, fonte anche del diritto umano e quindi anche delle leggi stesse dello Stato, come s’è visto.
Le disposizioni legali che non rispettino tali requisiti, non sono fonte di obblighi morali e legittimi, poiché, dice, S. Tommaso, «magis sunt violentiàe quam leges» (Ib.), ossia sono piuttosto atti di forza e di prepotenza che leggi, poiché, al dire di S. Agostino, «non v’è legge se non è giusta» (De libero arbitrio, L. I, cap. 5). Ne segue perciò, per uno Stato effettivamente democratico, la necessità di accettare delle limitazioni non solo etiche all’oggetto ed all’ambito delle proprie leggi e dello stesso potere legislativo e della propria sovranità, come del resto anche per la Chiesa e la Comunità internazionale; e ne segue lo snaturamento dello Stato e la sua antidemocraticità, quando fondi le sue leggi unicamente sulla forza del potere anziché sulla sua ragione, e sul loro parametro puramente formale anziché sulla loro giustizia intrinseca.
c- Sul terzo principio della democrazia, quello della divisione dei poteri tra gli organi costituzionali dello Stato per il reciproco controllo e la prevenzione di squilibri interni nello Stato e di pericoli di invadenza e di sopraffazione, trattandosi di espediente meramente tecnico-giuridico del moderno regime democratico ma non essendo essenziale alla democrazia dello Stato, poiché può realizzarsi una vera e sana ed effettiva democrazia anche senza di esso, quando i poteri e le norme del sovrano, impersonato da una istituzione sola o da un corpo di istituzioni, vengano determinati e delimitati dall’ordine al bene comune e dalle leggi divine naturali e positive e subordinati al consenso almeno tacito del popolo, non è necessario né serio cercarne un raffronto in S. Tommaso.
d- Essenzialissimo allo Stato democratico è invece il quarto principio sopra enunciato: quello dell’osservanza e della garanzia dei diritti fondamentali della persona umana. Questo principio per S. Tommaso costituisce il centro e il perno dello Stato e si afferma nel primato assoluto della persona nello Stato, poiché è in base e in ordine ai valori supremi della persona, costituenti il bene massimo e la ragione d’essere dello Stato e la sostanza del bene comune, che va organizzato e articolato lo stesso Stato e vanno determinati e delimitati i suoi poteri e le sue leggi, non concependosi la persona per lo Stato ma lo Stato per la persona, la quale, pur essendo tutta immersa nella comunità sociale e impegnata con tutta se stessa per il bene della comunità da cui assorbe gran parte — non tutto — del suo ossigeno e della sua linfa, la antecede nell’esistenza e la trascende per la propria natura ed i propri fini; per cui la persona non va assoggettata allo Stato e integrata in esso con tutta se stessa, secondo tutti i suoi valori, che in gran parte non discendono da essa né possono dipendere da essa, ma solo secondo i suoi fini ed interessi temporali: «homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua» (Somma teologica, I-II, 21, 4, ad 3m), ma secondo particolari sue ragioni ed aspetti, ossia secondo quei fini che possono e debbono venire soddisfatti nell’ambito della comunità politica, i quali costituiscono il piedistallo naturale anche per l’ascensione soprannaturale della persona umana. (4)
Questa emerge invece dallo Stato e sovrasta su di esso secondo i suoi valori e diritti trascendenti ed eterni, sia soprannaturali che naturali, radicati nel fine ultimo dell’uomo e conferitigli dalla legge divina naturale e positiva, per i quali «totum quod homo est et quod potest et habet ordinandum est ad Deum» (Ib. In senso totale l’uomo è ordinato soltanto a Dio, principio e fine di tutte le cose) e che pertanto costituiscono un vincolo divino oggettivo e inderogabile, perpetuo e immutabile, anche per lo Stato e i suoi organi e le sue leggi e, per il fondamento e la natura stessa dello Stato, vanno da esso e da ogni suo atto in ogni caso e sopra tutto rispettati, salvaguardati, tutelati, garantiti. (5)
5- Come corollari immediati della concezione politico-democratica personalistica di S. Tommaso e dei correlativi principi ora illustrati, si possono indicare particolarmente i seguenti.
– Anzitutto nelle istituzioni giuridiche democratiche, che, pur potendo essere, almeno in parte, anche identiche secondo i principi di S. Tommaso e quelli del costituzionalismo moderno sotto l’aspetto formale, differiscono essenzialmente nel fondamento giustificativo o titolo costitutivo, nel fine e nella natura morale, e quindi nella sostanza, non si può identificare lo Stato, ma solo gli elementi operativi dello Stato e si rinvengono e si concretizzano gli obblighi e i vincoli che derivano allo Stato dalla legge divina naturale e positiva e dal fine ultimo della persona umana. Così il parlamento, non è onnipotente, neppure sul piano legislativo interno. Il suo potere è limitato e indirizzato, oltre che dalle norme costituzionali proprie e dal diritto internazionale, anche e soprattutto intrinsecamente dalle proprie radici affondate nel terreno della legge naturale e dal proprio sostrato personalistico, ossia non solo dal consenso formale, fondato sul giudizio della retta ragione, ma specialmente dai valori interiori e dai fini propri della persona umana dei suoi soggetti.
– I diritti fondamentali della persona umana non sono emanazioni, concessioni, dello Stato, ma facoltà personali insite nella persona e antecedenti allo Stato, che s’impongono allo Stato ed esigono da esso la loro tutela giuridica positiva.
– Lo Stato nelle sue garanzie giuridiche deve far posto altresì ai diritti derivanti alla persona dei cittadini da ordinamenti giuridici superiori allo Stato stesso, come quello internazionale e quello soprannaturale divino, in quanto nella persona stessa si concentrano e si fondono i diritti naturali e quelli soprannaturali ed essa non si realizza totalmente nello Stato, ma si espande e si attua anche nei suddetti ordinamenti e nelle corrispettive società. Per conseguenza, occorre procedere ad una rettifica ed al ridimensionamento del concetto e dell’ambito effettivo della sovranità dello Stato, democratico o assolutistico che sia.
– Il fine trascendente della persona umana determina, caratterizza e definisce anche il tipo e la natura dello Stato di S. Tommaso e il suo ordinamento giuridico — istituzioni e norme —, nascenti dalla persona stessa e ordinati ad essa. Essendo infatti tale fine preordinato e predisposto all’uomo, eleggibile e libero ma imprescindibile da parte della sua coscienza morale, sociale e giuridica, e superiore all’uomo, in quanto perfettivo dell’uomo, e perciò superiore alla società costituita e ordinata alla perfezione dell’uomo, il fine stesso della persona umana attrae nella propria orbita e coinvolge e vincola anche l’ordine sociale e giuridico, la società politica e i suoi poteri, in quanto l’uomo è naturalmente «animal sociale et politicum» e tende a quel fine con tutto il proprio essere, anche sociale e politico; e, attuandosi tale vincolo finalistico o morale della persona al proprio fine ultimo anche nei suoi rapporti esterni e sociali e mediante i medesimi, esso si trasfonde necessariamente anche in rapporti giuridici e quindi in imperativi vincolanti anche la società e lo Stato e i suoi organi e le sue leggi, ossia il suo ordinamento giuridico.
Lo Stato democratico di S. Tommaso, a fondamento e fine personalistico, non individualistico, non potrà mai essere uno Stato totalitario, a differenza dello Stato democratico dei filosofi del diritto e dei costituzionalisti moderni, che ci hanno regalato dei mostri di Stato, democratici nell’apparato strutturale e formale, ma totalitari nelle pretese, nei poteri assoluti, nel predominio incondizionato e totale sulla persona, per la quale è stato spesso non meno funesto degli Stati anche strutturalmente totalitari, un Moloch che divora i suoi fedeli.
Per S. Tommaso il regime democratico dello Stato è nella natura stessa dello Stato, in quanto questo è emanazione dell’inclinazione politica naturale della persona umana e quindi del cosciente consenso dei cittadini ed è in funzione del perfezionamento naturale della persona, ossia del completamento integrale e attivo di essa. Non è fine a se stesso: la ricchezza, la potenza, l’egemonia, l’imperialismo; né può ridursi a strumento di dominio da parte di una determinata classe sociale (aristocratica, borghese, operaia, partitocratica, ecc.), e neppure della massa fanatizzata; né può esaurirsi nell’incarnazione d’una ideologia politica o sociale od economica (liberale, fascistica, comunistica, collettivistica, ecc.); ma è ordinato alla promozione ed attuazione del bene completo della persona in quanto persona, composta di corpo vivente e d’anima intellettiva e spirituale; e perciò deve essere finalizzato personalisticamente, razionalmente, spiritualmente, secondo le esigenze e i dettami (prime norme di diritto naturale, scritto nell’essere dell’uomo) del bene assoluto e insostituibile della persona umana.
Lo Stato perfetto e funzionale quindi per S. Tommaso non può essere radicato nell’arbitrio né individuale né collettivo, né nel mero progresso materiale, né nell’interesse della ragione di Stato, particolare o generale, né nel mero possesso del potere, ma affonda le sue radici solo nell’anima razionale e libera della persona umana ed ha l’essere e il potere dalla persona umana, alla cui integrazione sociale e maturazione ed elevazione è ordinato per natura sua quale mezzo necessario, ed al cui retto consenso perciò è subordinato. Esso va costituito quindi ad immagine e per il servizio effettivo della persona umana, e non può avere che dimensioni personalistiche; e pertanto, non può consistere d’un monolite a se stante, d’un blocco impersonale assoluto e dispotico chiuso in un suo presunto potere sovrano illimitato, ma d’una società unitaria organizzata personalisticamente, ossia in funzione della persona umana dei suoi cittadini, cioè d’un organismo sociale articolato sulla base delle esigenze superiori della persona umana, da cui esso trae unità, vita, valore giuridico, poteri e doveri; e, in questo senso, non può essere che essenzialmente democratico, nella sua costituzione, nella sua sovranità, nella sua attività, nei suoi fini.
- C) CONCEZIONE DEL DIRITTO E DELLO STATO IN SAN TOMMASO
Per comprendere appieno la concezione politico-giuridica tomistica, occorre tener presente che S. Tommaso fa propriamente la teologia del diritto e dello Stato, e quindi anche della democrazia, più che la comune filosofia. Egli infatti, nello stesso commento alle opere filosofico-etiche e politiche di Aristotele, introduce, almeno implicitamente, elementi e principi teologici, tratti dalla Rivelazione, che danno un’altra impronta, un’altra visuale e un’altra impostazione al piano filosofico-aristotelico, lo proiettano sotto un’altra luce, lo presentano sotto un’altra prospettiva di fini, lo sublimano ad un’altra funzione più alta, che non è più il semplice retto ordinamento dell’uomo nella società terrena politica per il perfezionamento naturale della persona umana nella vita presente, ma il suo ordinamento nell’universo creato, comprendente la Rivelazione, la caduta originale dell’uomo e la sua redenzione in Cristo e tutto il mondo soprannaturale coi suoi valori e le sue virtù, in relazione a Dio non solo come principio e causa e come fine ultimo dell’uomo, ma anche come suo Redentore e santificatore, per il perfezionamento integrale e assoluto dell’uomo in ogni sua dimensione e potenzialità e la sua beatitudine completa nell’attuazione di tutte le sue capacità nella visione di Dio.
San Tommaso infatti vede e considera lo Stato in una visuale integrale e universale dell’uomo, visto e considerato in tutta la sua complessità, nella sua portata infinita e nel suo destino completo: corporale e spirituale, terreno e celeste, temporale ed esterno, presente e trascendente, naturale e soprannaturale, in un tutt’uno: non su due linee parallele o su due piani separati, ma fusi e coerenti, unitari ed organici, per quanto distinti: lo Stato quindi in ragione delle finalità ed esigenze personali dell’uomo in relazione a Dio ed agli altri conviventi in società. Non vede l’uomo col paraocchi, da un lato solo, come un manichino, isolato in se stesso, monco delle sue propaggini e delle sue radici, staccato dal suo mondo e dal suo cielo, dal suo clima umano e divino, dalle sue cause, dai suoi rami e dai suoi frutti.
Anche il diritto e lo Stato quindi in questa visuale universalistica fondano la loro ragione d’essere e i loro poteri su altri valori e assumono nuove dimensioni e nuove funzioni: dimensioni e funzioni divine, oltre che umane, e quindi sottostanno e devono conformarsi a finalità e norme divine, oltre che umane: l’eterno si concretizza nel temporale e si realizza, si raggiunge, attraverso le istituzioni terrene, che pertanto, senza nulla perdere del loro valore naturale, in quanto rivolte all’attuazione della giustizia in senso ampio, vengono rivalorizzate intrinsecamente nella propria ragione d’essere e nella propria realtà in quanto ordinate ad una superiore giustizia impregnata di carità, per la quale acquistano una nuova anima, una nuova virtualità, una nuova dinamicità, nuove funzioni. Venendo ordinati a finalità superiori, vengono animati, mossi, da uno spirito nuovo, da una nuova molla, da virtù speciali, da stimoli soprannaturali, che conglobano e sublimano le forze terrene, la persona umana, la natura.
Forse a questa impostazione del pensiero di S. Tommaso sul diritto e sullo Stato non sono alieni i suoi studi e le sue osservazioni sulle trasformazioni operate sul ceppo del diritto romano classico da parte del diritto postclassico e specialmente giustinianeo, permeato dall’anima cristiana e indirizzato a nuovi ideali, a nuove mete sociali, non puramente temporali ma anche ultraterrene e caritative, che diedero un volto più umano e soave, cristiano, alla rigida giustizia romana.
- D) CONCLUSIONE
Per concludere, non sarà fuori luogo un riferimento storico: San Tommaso d’Aquino, a differenza di tanti pletorici e gratuiti teorizzatori e mitomani politici positivisti e panstatalisti e per ciò stesso almeno virtualmente fautori del dispotismo e totalitarismo dello Stato, ha affermato vigorosamente e realizzato i principii democratici non solo negli scritti, ma anche nei suoi rapporti personali con principi e Papi nelle corti e nella Curia, e soprattutto pagando di persona, affrontando con fermezza pari alla sua serenità i potentati del mondo per attestare i diritti naturali e soprannaturali e il primato della persona umana nello Stato e sullo Stato, lottando nella propria vita e soffrendo (secondo Dante anche morendo avvelenato precisamente per questo da parte di un tiranno sospettoso) per la loro attuazione pratica, subendo fortemente l’arresto e il carcere e opposizioni d’ogni genere da parte di eguali e dall’alto, anche post mortem, per la scelta della propria vocazione, per la realizzazione dei suoi ideali di persona e per l’asserzione e la diffusione delle sue idee, cioè per la libertà religiosa, per la libertà di pensiero e per la libertà di parola, sostanza d’una vera ed effettiva democrazia.
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(*) I principi dello Stato Democratico nella concezione politica di San Tommaso d’Aquino. Estratto dalla pubblicazione « Atti del Congresso Internazionale » n. 8 – L’UOMO – II Tomo – di Fra Pietro de Luca O.P. – Ed. Domenicane, Napoli – 1969/70
1) Cfr. H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, ed. Comunità, Milano 1954, pp. 274 ss.; 290 ss.; F. Pergolesi, Diritto costituzionale, 11.ma ed., CEDAM, Padova 1956, pp. 65 ss.; 430 ss.; G. D’Eufemia, Le Costituzioni, ed. Studium, 2a ed., Roma 1971, pp. 21 ss.; P. Biscaretti di Ruffia, Diritto costituzionale, 5a ed., Iovene, Napoli 1958, pp. 47 ss.; 228 ss.; 591 ss.; G. Balladore Pallieri, Diritto costituzionale, Giuffré, Milano 1955, pp. 66 ss.
2) cfr. Summa theologica, I, 96, 4.
3) cfr. ib. 92, 1, ed anche Somma Contro i Gentili I, III, cc. CXVIII e CXXXIX.
4) “La ragione per la quale l’uomo non può fungere soltanto da membro nell’organismo sociale è che egli, quale essere spirituale, è preordinato a un fine che trascende ogni umana istituzione, lo Stato compreso; e cioè preordinato a Dio: “homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua.. sed totum quod homo est, et quod potest et habet ordinandum est ad Deum” (S. Tomm. I, II” XXI, 4, ad III). Per cui se risponde alla natura dell’uomo unirsi quale membro attivo nell’organismo sociale, risponde pure all’essenza della società non assorbire l’uomo fino ad annullarlo; ma la sua ragion d’essere sta nel creargli l’ambiente migliore per il suo perfezionamento integrale”. (Pio XI – nella Mit brennender Sorge, 8).
5) «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo, celebre frase detta da Gesù e riportata nei vangeli in particolare nel Vangelo secondo Matteo 22,21, nel Vangelo secondo Marco 12,17 e nel Vangelo secondo Luca 20,25.
Secondo le diverse versioni del racconto, alcuni personaggi decisero di mettere in difficoltà Gesù chiedendogli se gli Ebrei dovessero o meno rifiutarsi di pagare le tasse agli occupanti Romani. Nel Vangelo secondo Luca si specifica che, evidentemente attendendosi che Gesù si sarebbe opposto al tributo, essi intendevano «consegnarlo all’autorità e al potere del governatore», che all’epoca era Ponzio Pilato e che era responsabile della raccolta dei tributi. I vangeli sinottici raccontano che gli interlocutori si rivolsero a Gesù lodandone l’integrità, l’imparzialità e l’amore per la verità, poi gli chiesero se fosse o meno giusto per gli Ebrei pagare le tasse richieste da Cesare. Gesù, dopo averli chiamati ipocriti, chiese loro di produrre una moneta buona per il pagamento e poi di chi fossero nome e raffigurazione su di essa; alla risposta che si trattava di Cesare, rispose «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». I suoi interlocutori, confusi dalla risposta autorevole e ambigua, si allontanarono contrariati. Nel Vangelo secondo Marco e in quello secondo Matteo gli interlocutori di Gesù sono farisei ed erodiani; l’autore del Vangelo secondo Luca parla di informatori degli scribi e dei sommi sacerdoti.
Le tasse imposte dai Romani alla Giudea avevano causato in precedenza delle rivolte. Nell’Anno 6 d.C. fu indetto il censimento di Quirinio allo scopo di determinare le ricchezze da tassare, ma ciò provocò la rivolta di Giuda il Galileo che, sebbene soppressa, portò probabilmente alla nascita del movimento degli Zeloti. Il tema delle tasse romane e della loro evasione da parte degli Ebrei è ricorrente nel Nuovo Testamento. Durante il processo di Gesù, l’imputato fu accusato di essersi proclamato re dei Giudei, ma nel Vangelo secondo Luca è aggiunta l’accusa di essersi opposto al pagamento delle tasse. Uno degli apostoli di Gesù, Matteo, era stato chiamato proprio mentre stava lavorando, mentre Zaccheo, uno dei principali esattori delle tasse sotto Pilato, era stato convinto da Gesù a pentirsi e abbandonare il proprio lavoro; in diverse occasioni, infine, Gesù parlò male degli esattori, giungendo persino ad accomunarli alle prostitute. La replica di Gesù è affidata, nello stile semitico, a un atto e a una frase coerenti tra loro, così da creare una sorta di parabola in azione. Chiaro è il primo principio “politico” risultante: la sfera civica, economica e sociale ha una sua autonomia che respinge ogni ierocrazia, che impedisce di trasferire automaticamente il testo sacro a carta costituzionale, che legittima la laicità e la secolarità con la sua specificità e originalità.
C’ è, però, un secondo principio che si presenta in modo netto nel gesto compiuto da Gesù a proposito della moneta. L’ uditorio ben riconosceva in quel rimando all’ eikôn, cioè al tema dell’ “immagine”, l’ ammiccamento a un celebre passo biblico della Genesi (1, 27) ove si definiva la persona umana, uomo o donna (e non il solo maschio, come vorrà una successiva ermeneutica rabbinica e paolina), «immagine e somiglianza di Dio». C’è, dunque, un altro orizzonte di autonomia, quello della persona nella sua dignità irriducibile a pura realtà immanente, economica e sociale. Ecco, allora, la frontiera che si erge davanti alla pur legittima autorità di Cesare: essa non può ledere la creatura umana nei suoi valori ultimi, nella sua grandezza e libertà, nel suo trascendere le coordinate delle strutture meramente politiche, gestionali, finanziarie e comunitarie. Si comprende in questa luce, ad esempio, perché l’ apostolo Paolo non esiti a usare espressioni severe nel tutelare il rispetto delle obbligazioni fiscali e dei doveri civici nei confronti del pur pesante sistema tributario romano (si legga Romani 13, 1-7). Ma si intuisce anche perché l’indice dei profeti biblici non teme di rimanere costantemente puntato contro la corruzione della classe dirigente di Gerusalemme o di Samaria (si veda, ad esempio, il libretto del profeta Amos, costellato di attacchi incandescenti contro il potere e le stesse connivenze dell’ alto “clero”). Similmente si riesce a spiegare perché nelle stesse prime e ultime pagine della Bibbia si erga una città mostruosa, la Babele-Babilonia imperialistica che vorrebbe “globalizzare” forzosamente l’intero pianeta («un solo popolo, una sola lingua») e che aspira a far tacere ogni voce morale e spirituale. Eppure è altrettanto significativo che la Bibbia costantemente speri che la Gerusalemme storica possa trasformarsi in una “Gerusalemme nuova”, retta da una capo di Stato che non «giudichi secondo gli interessi costituiti, ma governi con giustizia i poveri, prendendo decisioni eque per i miseri del paese» (Isaia 11, 3-4), e questo potrà essere possibile solo quando anche il Cesare di turno avrà preso in considerazione di dover dare a Dio ciò che è suo, anche la sua stessa autorità al Suo servizio.