Fenomenologia della globalizzazione
La globalizzazione non è, tuttavia, una ideologia che presuppone un’elaborazione culturale, ma è al più un piano, un progetto. Non è nemmeno, come qualcuno pensa, la volontà di fondare un impero mondiale, perché un impero è un soggetto di natura politica che aggrega in nome di principii sacrali.
Già Evola, in Imperialismo pagano, escludeva che un impero si potesse costruire solo su fattori economici o anche solo ideali, valoriali. Ora, i centri di potere della mondializzazione non hanno alcun interesse alla politica, anzi la avvertono, e giustamente dal loro punto di vista, come un ostacolo e per questo sostengono tutti i movimenti che sono in realtà forze apolitiche, prive di cultura politica se non proprio di cultura tout court, come è evidente in quello che in Italia è il primo partito.
Sostengono altresì la de-politicizzazione delle masse, che devono nutrirsi esclusivamente di circenses – il panem comincia, infatti, a scarseggiare – attraverso canali di comunicazione che veicolano e reiterano messaggi di disimpegno e individualismo sfrenato. Questo perché la globalizzazione è un mercato e la sua classe dirigente è costituita da piazzisti ad alto livello; non esiste gerarchia, ma solo una ben organizzata loggia di affaristi privati. Ne costituisce una dimostrazione l’assenza di simboli che, come scrive Fedel in Simboli e politica, caratterizzano un potere ideologico e lo distinguono sia dal potere coercitivo che da quello economico; nella dimensione globalistica non ci sono miti, sostituiti da spot pubblicitari.
Anzi, come la politica anche il simbolo e il mito sono temuti dai poteri mondialistici che per questo sostengono tutte le correnti di opinione, a cui si alimentano i cervelli svuotati da ogni residuo di intelligenza, che vogliono abbattere i simboli del passato, in Italia e forse ancora in maniera più marcata, e per questo paradigmatica, negli Usa, dove la conciliazione politica era riuscita da tempo, nel rispetto e nel riconoscimento del valore di tutte le parti coinvolte in una feroce lotta divisiva. La questione è che il simbolo e il mito rimandano a una appartenenza, segnano un’identità, aprono a una dimensione superiore dove ogni individuo può collocare il passato e il futuro e diventare persona, cioè personalità storicamente determinata.
Il simbolo, nel suo significato letterale, lega mentre la società liquida vuole sciogliere ogni legame e di conseguenza ogni impedimento all’appiattimento e all’omologazione. E non bisogna dimenticare che l’etimologia greca contraria di symbolon è diabolos; è il diavolo che scioglie i legami perché così può approfittare maggiormente della debolezza dell’individuo solo. Non a caso apparve a Gesù nella solitudine del deserto.