Il solstizio al Semprevisa

 

Il solstizio al Semprevisa

Venerdì scorso, tardo pomeriggio, alle porte di Latina. Percorrendo la via Pontina il traffico impone lunghe code e la guida a passo d’uomo. Temo d’arrivare in ritardo e me ne preoccupo. La ‘nostra’ comunità mi attende per la presentazione del libro.

Un pretesto – ne sono consapevole e ne condivido l’intento – per ritrovarsi riconoscersi stare insieme in un momento antico e nuovo al contempo. Non basta incontrarsi per strada un caffè al bar o quattro chiacchiere in piazza del Popolo, lungo il muro della Prefettura.

Non furono questo non sognarono non si batterono non appresero riti e modelli di comportamento solo per un gesto amicale e frettoloso. Tacito s’impose il giuramento d’essere fedeli agli ideali che, soli, ci preservano liberi. Nonostante ogni difficoltà divergenza possibile lontananza.

Il sole si riverbera sul vetro della macchina. Sonnecchio. Immagini ricordi assonanze si accavallano si susseguono simili a moviola di un remake fatto di anni in cui capelli e barba erano parimenti lunghi e arruffati, ma solo appena striati di grigio. E il passo nervoso e spedito. Andare e sempre oltre. E il corpo asciutto e disposto a mettersi in gioco. E lo sguardo, illuso, di travalicare ogni linea d’orizzonte, intesa quale confine di un universo concentrazionario. E Latina, la ‘nostra’ Littoria (oggi ridotta, così come tanta parte d’Italia, in Latrina), sovente la meta.

Ecco il Semprevisa, alla pendice dei monti Lepini. Oltre Sezze, l’eremo e il comune di Bassano. Qui – si racconta – trovarono rifugio alcuni cavalieri Templari in fuga, dopo la scomunica dell’Ordine e il rogo del Gran Maestro Jacques de Molay a Parigi il 18 marzo del 1314 (ne farebbe fede, in una sorta di grotta, un dipinto assai mal ridotto raffigurante, sembra, il Bafometto, l’idolo pagano e, per alcuni, richiamante Satana).

Lo visito, scavalcando la fragile rete di recinzione. E, percorrendo un sentiero fra gli alberi, superato il fontanile e presso i ruderi di un modesto edificio, lo spazio ove si crea il cerchio magico della comunità, il fuoco e noi seduti intorno a bere e cantare in attesa dell’alba. Seri e disciplinati. Solstizio, atto sacrale. Poi, lesti, il balzo verso la cima e, a braccio teso, salutare il sole nascente…

Ogni inverno, circondati dalla notte il freddo pungente la neve tra l’erba secca e sui rami spogli. A giugno un tripudio di stelle le piante ornate di gemme il tepore della primavera avanzata. Ecco i volti di coloro che ci hanno preceduto – e Lanfranco li richiamerà per un minuto di silenzio, in piedi e le braccia dietro la schiena. Dino e Cispo in primo luogo. Le idee ardite e l’azione fedele.

Ciò che fa di una comunità lo stile. In questo locale di cui Filippo ci ha concesso lo spazio. E, allora, pensi che in fondo n’è valsa la pena con gli errori compresi, le tante battaglie intraprese e le tante perse, le idee con cui si è guardato il mondo e se n’è sognato altro e migliore, i chiavistelli alla porta le sbarre alla finestra, bastoni e barricate, le parole scritte quelle dette.

Sì, n’è valsa la pena se hai di fronte a te, al tuo fianco, una comunità d’esseri in cammino d’esseri contro… 18 maggio ore 18,30 Latina la comunità vive ed è ben più di soli uomini in ascolto.

Torna in alto