Il contratto M5S-Lega alla sezione cultura-turismo fa storcere il cervello agli onanisti del settore, fumiganti pensatori intabarrati nei loro anacoluti che ti lasciano in sospensione e pensi: ma cos’ha detto?
Ci viene in mente l’aforisma di Goebbels “quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola” tanto irritano le omelie barocche o ermetiche degli intellettuali, molto meglio la prostituzione sacra delle sacerdotesse d’Afrodite. E’ vero, il testo del contratto, su questo tema, afferma cose stranote sul patrimonio culturale italiano, lo fa con un periodare semplice senza affondi, ma cita due elementi fondamentali: investimenti e formazione nel settore BACT. Chiusi i cartoni con lo scotch il buon ministro Dario Franceschini, dopo 4 anni poco più , lascia il Ministero passando il testimone al pentastellato Alberto Bonisoli, mantovano, classe 1961.
Da un politico demcom ( neologismo di democristiano-comunista) ad un prof. di manegement applicato alle arti, Direttore della NABA di Milano, Accademia rigorosamente privata per élites alto borghesi. Tra l’altro Bonisoli ha concorso per la Camera alle recenti elezioni del 4 marzo nel collegio uninominale Milano 1, ma non è stato eletto, non siede per volontà popolare sugli scranni del Parlamento al pari del Presidente del Consiglio Antonio Conte.
L’eredità lasciatagli dal seguace di Zaccagnini è pesante perché Franceschini, nei governi orizzontali Renzi e Gentiloni, è stato l’unico ministro ad uscirne a testa alta nonostante l’equilibrismo del Bilancio, l’Italian yes ai cappi insaponati dell’UE, i crolli di Pompei che inaugurarono la sua stagione. Tra le tante iniziative citiamo il varo della legge sul cinema e gli audiovisivi, scopiazzata dai cugini transalpini, per rilanciare il Made in Italy dei film TV, ha presentato una riforma del MIBACT sulle polverose Soprintendenze, spalancato la porta ai privati per la prognosi del nostro patrimonio, aperto i musei gratis nella prima domenica del mese, ha istituito l’annuale Capitale italiana della cultura, soprattutto rimessa a nuovo e in sicurezza l’area archeologica di Pompei. Proprio da questa è partito il viaggio ministeriale di Alberto Bonisoli, quasi un omaggio al suo predecessore, verificare quel “fare sistema” tra pubblico e privato che ha prodotto il miracolo di restituire ai visitatori un sito unico al mondo.
Alcuni temono la progressiva privatizzazione del nostro immenso tesoro, unico oro della Patria, con infiltrazioni di capitali stranieri nei nostri scrigni per arraffare gioielli inseguendo un business plan. Obiezione di fondo tutt’altro che peregrina in un’Europa piraña liberista, basta affacciarsi sull’Egeo ormai germanizzato. L’Italia, ricordiamolo, è prima nel mondo con ben 53 siti definiti dall’UNESCO “Patrimonio dell’umanità” ma solo il 3,4% della popolazione attiva lavora in questa miniera d’oro, le ragioni? Mancanza di investimenti ma soprattutto di ricavi senza i quali non è fattibile né conservare l’esistente né scoprire, ampliare, creare nuove gallerie nella nostra miniera. Impossibilità del magro bilancio a reintegrare almeno il personale andato in quiescenza con le scontate conseguenze di una mole di lavoro con un organico ridotto all’osso.
Può sembrare utile ed ovvio rastrellare sinergie private con la raccolta di fondi per restaurare il Colosseo o Piazza di Spagna ma amiamo di più una politica di forti investimenti dello Stato, prendendo a pugni quel maledetto rapporto tra debito pubblico e PIL che ci ha imbalsamati. Il Ministro Bonisoli ha promesso di portare all’1% del Bilancio la percentuale di investimenti sul Patrimonio arte-turismo. Obiettivo d’un Icaro ambizioso da verificare già dal prossimo Def autunnale, se almeno si aggiungesse un qualche decimale allo sconfortante 0, 22% circa sul quale anche il Ministro uscente, nonostante le fanfare, ha fatto poco o niente (1,6 miliardi di Euro nel 2018) tanto da far rimpiangere, in questo, i governi di baffino.