Amatrice/Giappone: unica differenza il debito

 

Amatrice/Giappone: unica differenza il debito

Il programma di investimenti pubblici del nuovo governo prefigura una politica economica espansiva. Fra i molti interventi che il contratto di governo prevede vi è quello imprescindibile della ricostruzione delle zone terremotate. Una ricostruzione doverosa ma sicuramente tardiva. Come è possibile che le famiglie colpite dal terremoto non abbiano ancora visto un piano strutturale di ricostruzione completamente finanziato e già in partenza?

Se si vuole fare un paragone di due realtà emergenziali molto distanti (ma in cui il nostro panorama di ricostruzione risulta molto più facile da risanare) potremmo guardare a quanto avvenuto in Giappone dopo il Terremoto del 2011. Come è possibile che all’indomani di quello definito da alcuni come il più costoso disastro sismico della storia (danni per 250 miliardi di dollari) la ricostruzione sia stata fulminea? Per fare un esempio pratico vi sono autostrade, distrutte in quel terremoto, ricostruite in appena una settimana.

Certo i caratteri nazionali aiutano. Il popolo giapponese è noto per il senso del dovere rigidissimo, il rispetto delle istituzioni e dello stato, la capacità di organizzazione, la sua efficienza proverbiale e la prevenzione dei terremoti ormai elevata a sistema tramite edifici antisismici ed esercitazioni della popolazione. Ma non può essere tutto questo.

Eppure nel momento dell’immediata emergenza la macchina della Protezione Civile italiana si è mossa con tempestività pari a quella di un qualunque altro paese. Quando poi si è entrati nella fase della ricostruzione tutto cambia.

Cosa ha il Giappone che noi non abbiamo per far fronte a queste ed altre calamità? Semplice: la sovranità monetaria e la possibilità di fare debito.

I vincoli imposti dai burocrati europei (da cui recentemente è arrivata persino la richiesta di far pagare le tasse alle popolazioni disastrate del centro Italia) del pareggio di bilancio e del limite del 3% allo sforamento in deficit hanno paralizzato la ricostruzione quanto i mille cavilli burocrati e la mancanza di decisione politica.

A paragone la reazione del governo di Tokyo fu immediata grazie a più di 200 miliardi di valuta immediatamente messi a disposizione del paese ed emessi dalla banca centrale. Appena 60 ore dopo quel disastro i servizi idrici ed elettrici furono ristabiliti per il 98% della zona colpita. E 72 ore dopo la tragedia la Banca del Giappone iniettò 181 miliardi di dollari di denaro di Stato nella casse delle banche giapponesi come stop immediato a un tracollo finanziario. Con una ricostruzione stimata sui 128 miliardi di dollari, il governo giapponese si accordò con l’opposizione per un esborso totale di 230 miliardi di dollari. Inoltre, per rimborsare le vittime del disastro nucleare di Fukushima, il governo di Tokyo ha sborsato 20,6 miliardi di dollari alla Tokyo Electric Power Company, l’azienda responsabile della centrale.

Tutto questo possibile grazie ad un governo che non dovesse sottostare a vincoli di bilancio o piegare la testa di fronte ai diktat anti-popolari stranieri.

Una soluzione classicamente “all’italiana” per salvare capra e cavoli, non facendo debito ma per dare finalmente il via alla tanto agognata ricostruzione, potrebbe essere costituita dall’emissione dei minibot teorizzata da Claudio Borghi. Si starà dunque a vedere se difronte alla sofferenza dei terremotati il nuovo governo pseudo-sovranista avrà la spina dorsale di fregarsene degli ordini di Bruxelles.

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