Sul concetto di sovranità

 

Sul concetto di sovranità

Oggi, politicamente, siamo quanto mai lontanissimi dal miglior sistema possibile: la democrazia della maggioranza è stata legittimata solo quando e fino a quando ha retto ingenuamente il bordone dei rappresentanti delle nuove chiese, dei poteri forti, della finanza speculativa cosmopolita.

Appena il popolo si è rivoltato contro le élites, per un inevitabile istinto di conservazione, i voti non si sono più contati, ma pesati. Come non ricordare le volgarità che si dissero a proposito della Brexit, quando si lamentò che avessero votato le campagne, per definizione arretrate e incivili, o addirittura gli anziani; oppure le rivelative parole di un ex consigliere di D’Alema, da tempo restituito al giusto oblio dal quale venne sottratto, brevemente, il tempo di affermare, dopo la sonora bocciatura della riforma costituzionale renziana, che il suffragio universale era ormai superato. Non si tratta di difendere un suffragio puramente numerico, ma temere quello che le élites offrono in cambio: un’opaca tecnocrazia di cui abbiamo purtroppo sperimentato effetti che peseranno a lungo, in negativo, su questo Paese.

Del resto, lo stesso suffragio è solo un’illusione poiché può essere ampiamente manipolato, indirizzato, quando non apertamente contraffatto. Lo sviluppo delle tecniche di propaganda attraverso le quali si manipola, oggi, il consenso sono talmente sviluppate che quelle tanto vituperate dei cosiddetti sistemi totalitari appaiono addirittura ingenue.

Per recuperare un più autentico concetto di sovranità bisognerebbe tornare a considerare il popolo, gentilianamente, non come numero, ma come anima. Ciò consentirebbe di evincere la fondamentale diseguaglianza tra gli uomini: tra coloro che posseggono soltanto un’anima vegetativa o solo quella irascibile e coloro, pochi, che privilegiano l’anima razionale, secondo la celebre tripartizione platonica. Solo l’individuo ridotto a numero è uguale agli altri, l’eguaglianza esistendo solo in una dimensione orizzontale.

Non a caso già i primi teorici dell’eguaglianza tra gli uomini, a cominciare dai sofisti, l’hanno potuta sostenere solo ponendo l’uomo sullo stesso piano degli animali. Tra tutti ascoltiamo Antifonte: per natura siamo tutti uguali…questo si può vedere dai bisogni naturali di tutti gli uomini, tutti infatti respiriamo l’aria con la bocca e con le narici. Ovviamente, appena lo sguardo si eleva dal piano fisiologico e si rivolge allo spirito, tutti gli uomini appaiono, fortunatamente e fondamentalmente, diversi.

Tommaso d’Aquino scriveva: numerus stat ex parte materiae; il numero infatti è pura materia e come tale soggetta alla forza di gravità e non può che rivolgersi verso il basso. Nella concezione tradizionale, si pensi a Plotino che ne costituisce sicuramente un interprete, è dall’uno che si passa ai molti. La perdita di ogni riferimento unitario è alla base dell’individualismo moderno e dell’altra sua faccia, il collettivismo (post)comunista che non è altro che somma di individui e non una loro fusione, che richiederebbe appunto un principio superiore in nome del quale realizzarla, e tale principio non potendo che essere spirituale. Perché lo spirito è sintesi e la materia divisione.  

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