[Plastico del progetto ReStart4Smart dell’Università La Sapienza di Roma, presentato al Solar Decathlon Middle East 2018 di Dubai]
La nuova frontiera nella pianificazione urbanistico-architettonica corre sul tapis roulant futurista della smart city, non l’utilitaria, è la “città intelligente” abbracciata a un’adolescente l’Architettura 4.0. Quali sono i fattori di competitività-appetibilità di un nucleo urbano se non la competenza d’ assemblaggio del suo capitale fisico con quello umano e viceversa, perseguendo una visione organica delle due componenti. È un salto in alto rispetto alla città digitale solo fibre; l’asticella della qualità di vita come dell’omologazione s’è innalzata, occorre l’asta per superarla.
L’efficienza del sistema ITC (Infrastrutture, Trasporti, Comunicazioni) va sposato, senza divorzio, alla partecipazione democratica dei cittadini nelle scelte per avvertirsi inclusi nel sistema. Una smart city è tale se analizza, progetta, gestisce in modo “intelligente” risorse economiche, patrimonio storico-naturale, mobilità pubblica e privata, le proprie vocazioni, ottimizzando le relazioni interconnesse anche quelle tra amministratori e amministrati. I cittadini debbono essere cellule cooperanti del sistema, dialoganti con i pari ed i servizi offerti, ma soprattutto flessibili ai cambiamenti del progresso hi tech.
Come non ricordare l’apologo sulle membra del corpo di Menenio Agrippa rivolto ai poveri plebei asserragliati su Monte Sacro, per conquistarsi pari dignità coi patrizi, “Sic senatus et populus quasi unum corpus, discordia pereunt concordia valent.” Governare con l’assenso dando a tutti il diritto digitale di parola quanto il dovere civico di collaborare, questo è l’imperativo. Andando al nocciolo, nelle smart cities le nuove tecnologie sono vere protesi del quotidiano, dal lavoro, alla scuola, dal free time, alla casa, formando un sistema arterioso pulsante, fittamente interconnesso. Nell’etere, nei cavi, viaggiano informazioni lampo, dall’alta finanza alla cottura della pasta, tutto on line, veloce, con accesso da uno smart phone. Il cuore della città intelligente batte forte per irrorare anche i capillari, mal sopporta che il corpo alteri il suo metabolismo uccidendo sé stesso cioè l’ambiente oppure non colga il pomo del successo in ragione di conflitti sociali.
In quest’ottica, per raffreddare il livello di scontro, si deve far bene in tema d’ infrastrutture fisiche e soffici, integrate, economiche, efficaci, efficienti; dalle strade ai trasporti, alla telefonia fissa a quella mobile, alle reti informatiche fino alla domotica negli ambienti, il verbo è integrare. Questa rete d’ investimenti pompa l’economia locale, crea i presupposti per l’afflusso di nuovi capitali, crea il cavallo d’ Ulisse vincente contro i troiani conservatori, produce il lavoro nei suoi vari aspetti facendo schizzare in alto il Pil cittadino, inserendo la spina in un circuito virtuoso che accende il consenso. La derivata sociale sulla comunità è enorme, non è più utente passiva di servizi ma collaborativa, fruitrice competente, stimolante, orgogliosa di partecipare perché il nuovo “cittadino incluso” sa usare, dialogare, adattarsi ai cambiamenti anzi, in certo senso, li promuove.
La cronica penuria dei bilanci cittadini sposata al degrado ambientale, impone a una smart city di svilupparsi in modo sostenibile, senza sprechi, valorizzando l’habitat naturale col tesoretto storico-culturale che la distingue. Le amministrazioni cureranno le risorse usando la tecnologia, non solo centraline per le polveri sottili, combatteranno gli odiosi sprechi (perdite della rete idrica, timer per le luci, fughe di gas), ricorrendo alle energie rinnovabili per estirpare il cancro del CO2. Si richiederanno interventi sul traffico (semafori intelligenti, bus elettrici, bici), informazioni on line sui parcheggi, tempi certi d’attesa dei convogli pubblici, soluzioni intelligenti sul carico-scarico delle merci. Là dove la città lo permetta, via libera a una rete di piste ciclabili purché non diventino la passeggiata defecante dei cani al mattino. Affinché non accada più una Pompei, neanche un’Amatrice la smart city si doterà d’ un Piano Generale della sicurezza, con relative prove d’evacuazione scalari, sulla base di un’attenta analisi dei rischi capaci di metterla in ginocchio.
Son queste le tracce della smart city per la quale l’Architettura è chiamata al banco e a questa sfida nostra signora non si sottrae se le due torri milanesi del ”bosco verticale” di Boeri vincono il premio di Migliore Architettura del Mondo nel 2015, il progetto si sta clonando a Losanna con un bosco verticale di cedri. E ancora se l’Università La Sapienza di Roma ha realizzato, nel ’17, un prototipo della casa del futuro con il progetto ReStart4Smart, presentato a Pomezia, ora in concorso alle Olimpiadi universitarie dell’architettura sostenibile a Dubai. Eppur si muove quest’Italia geniaccia, le smart cities del pensiero globale però vanno finora solo da Torino a Bologna, dico una bestemmia preferisco le buche di Virginia.