Crack di Stato

Crack di Stato

La A10 Autostrada Fiori da Genova a Ventimiglia corre per 158,7 Km  fino al confine con Macron, da lì prosegue per Aix-in-Provence, culla  di  Paul Cézanne. Sono le 11.35 del 14 agosto, un nubifragio s’batte sul capoluogo ligure, testimoni dicono d’ un fulmine assassino schiantatosi sulla struttura, ma non è lui l’orco del ponte Morandi nel tratto sul torrente Polcevera.  E’ il più alto viadotto d’Europa, detto per celia o somiglianza  il ponte di Brooklyn, lungo oltre un chilometro (1.182 m) viaggia da Sampierdarena a Comigliano.

Nodo vitale di Genova Ovest, collega l’autostrada da/per Milano, arteria d’enorme traffico merci su gommato, lavora solitario in simbiosi col porto. Progettato dall’ing. R. Morandi, di cui porta il cognome, nei mitici anni ’60, fu  realizzato dalla Società italiana Condotte d’Acqua tra il 1963 e il 1967 anno della sua inaugurazione alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat con l’alza Barbera. Il viadotto genovese ha due fratelli, il primogenito nacque in Venezuela a Maracaibo, un ponte lungo 8,6 Km, il terzogenito è in Libia a Wadi al-Kuf , inaugurato nel ’72. Il venezuelano, nel ’64, prese una sonora capocciata da una petroliera di 36.000 t, la porzione lesa fece splash in acqua causando 7 morti, fu un errore umano, non un “cedimento strutturale”.

Questa tipologia d’opera ha un nome tecnico: ponte strallato che vuol dire  sospeso, la struttura  dell’impalcato è sostenuta da una serie di “stralli”, tiranti ancorati ai piloni a cavalletto, ciò permette grandi luci delle campate evitando file di pilastri. Per curiosità storica il primo ponte strallato fu costruito in Pennsylvania sul fiume Jacobs Creek nel 1802, brevetto di James Finley.

Nel crollo del Morandi genovese si vede il pilone ruotare poi precipitare  nel torrente, colpa delle gambe o di uno strallo che si è strappato provocando asimmetria di carico con conseguente spinta letale della campata sul pilone. Ipotesi, soltanto ipotesi tanto più che da maggio, dicono, fossero in atto opere di manutenzione rinviate a ottobre per gli stralli. Ma il chiacchiericcio mediatico alza un polverone fitto a caccia degli “untori”, opinionisti, ingegneri dai pareri opposti, Politecnici, economisti, politici affannati, tutti cercano colpevoli di una tragedia che conta decine di vittime innocenti, dispersi, feriti, oltre 600 sfollati, ed in più la pugnalata secca all’aorta genovese.

Sul banco d’accusa la Società Autostrade per l’Italia, impacchettata in  Atlantia del gruppo Benetton, con ricavi da capogiro nel 2017, responsabile della gestione del viadotto, possiamo immaginare già la guerra di periti, avvocati, un braccio di ferro che durerà mille anni. Demagogia di pancia ha contraddistinto le dichiarazioni di Governo del tipo stracciare subito la concessione. Poi ci si fanno due conticini accorgendosi che sarebbe un bagno di miliardi su un atto di affidamento con scadenza 2038! T

rasparenza vorrebbe che si mettessero sul tavolo carte e firme in calce perché ci sono responsabilità politiche con tanto di nomi e cognomi, a partire dal secondo Governo Prodi nel 2007 ed a seguire Renzi, ma si sa che la sinistra ha memoria cortissima, solo di parte, quando tocca a lei “non ricorda”, tiene gli scheletri negli armadi, se è spalle al muro farfuglia di sciacallaggio invocando solidarietà sugli eventi. Anche quelle interrogazioni in Senato al Ministro Delrio con le quali si chiedevano interventi sul pont sono cadute nel dimenticatoio, forse per crisi d’astinenza da  digiuno pro ius soli. Ma anche i pentastellati ambientalisti non ricordano d’ aver manifestato contro la gronda, la bretella che aspetta da ben  trent’anni d’essere realizzata. I giorni scorreranno, i riflettori si spegneranno per accendersi su qualche altra tragedia di un Paese di cristallo (trema il Molise), Genova resterà con la colonna vertebrale spezzata.

Lo Stato si è sciolto, in questi anni, nell’acido delle privatizzazioni con costi altissimi per i cittadini, ricavi usurai dei beneficiari delle concessioni, con residenze fiscali in paradiso, l’unica via seria del cambiamento ha un nome: nazionalizzazione, dalle banche, alla sanità alle infrastrutture il resto sono chiacchiere pelose da talk show.

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