Considerati i valori che Roma incarnava, non c’è da stupirsi se il mito della romanità divenne uno dei miti costitutivi di quel fascismo che auspicava una “seconda ondata” rivoluzionaria che trasformasse il regime in uno Stato davvero totalitario. Si trattava di coloro che ritenevano che il fascismo costituisse un evento nuovo nella storia d’Italia e rifiutavano la teoria della continuità, non solo storica ma anche politica, con le precedenti vicende nazionali. Si trattò, tutto sommato, di una minoranza nel regime, ma tanto forte era l’eco di Roma che ancor oggi si tende a considerare come volontà del regime quella di collegarsi a Roma, sganciandosi evidentemente dai secoli che c’erano tra Romolo Augustolo e la Marcia del 1922.
Tra i fautori dell’aderenza dell’ideologia fascista a Roma ci fu Guido Massetani, il quale, nel 1938 con il suo libro La Romanità, riteneva che il fascismo avesse preso le mosse del suo cammino trionfale da Roma o meglio dall’idea di Cesare della romanità come strumento di elevazione umana. «E così, col Fascismo, Roma riprendeva la sua funzione di mediatrice di civiltà, di unificatrice morale dei popoli in una Europa smarrita, disorientata, discorde». Vi era evidentemente già allora l’idea che un’Europa politica potesse formarsi solo rinnovando l’idea di impero che Roma aveva imposto nella storia umana; ovvero, una federazione di popoli che mantengono il proprio carattere, la propria religione, la propria lingua, ma collaborano, coordinati da un imperio politico, all’elevazione di tutta l’umanità. Un’Europa ben diversa da quella odierna che non rispetta le particolarità, ma tende ad omologare: dalle dimensioni delle banane agli uomini.
La romanità consiste infatti nel concetto romano dello Stato, in cui gli interessi del cittadino e quelli della comunità politica si compenetrano, non configgono. Roma non è l’antimodernità, tutt’altro, ma è certamente l’antindividualismo atomistico: la formula mussoliniana del “tutto nello Stato, niente fuori dello Stato, niente contro lo Stato” è formula eminentemente romana.
Un altro teorico della continuità tra Roma e il nuovo Stato che il fascismo doveva realizzare è Carlo Costamagna, consapevole che il concetto di nazionalità si era ormai esaurito e che, come scrive nella Dottrina del Fascismo – titolo in evidente polemica con Gentile, sostenitore invece della continuità tra Risorgimento e fascismo – si era nel vivo dell’epoca imperiale. «Roma crea l’Europa», scrive, ritenendo che Roma abbia trasmesso ai popoli conquistati una grande somma di esperienze fondamentali per la civiltà europea, tra cui la nozione dello Stato politico, stabilita sul concetto dell’imperium, cioè dell’autorità. Tutto nel rispetto delle differenze, perché impero non è imperialismo, creazione piuttosto del globalismo economico, ma collaborazione di popoli per superare la crisi di civiltà. A dimostrazione di quanto sia necessario, ancora oggi soprattutto oggi, ritrovare l’eredità di Roma.