Una tazza di latte

 

Una tazza di latte

Lascio Aquisgrana su un camion dal telone svolazzante simile a bandiera svettante al vento e lacerata dal furore dei combattimenti. In direzione Utrecht, Olanda, dove mi attende, in zona stazione, un anarchico norvegese, il fisico possente rosso di capelli e di barba lo sguardo sornione. Abbiamo fatto confidenza nel corteo che si snoda per strade periferiche lungo il confine. Sotto una pioggia lieve e insistente mentre siamo protetti dallo sguardo severo e cattivo dei poliziotti. C’è puzzo di sudore di birra e di hashish arrotolato schizzi di fango su scarponi e i k-way. Mi annoio. L’unico odore che sopporto, quando condivido momenti di lotta politica con i figli della ‘resistenza tradita’ (secondo loro) sono i lacrimogeni e la molotov. ‘Battete in piazza il calpestio della rivolta’, così Vladimir Majakovskij.

I Viet-Kong dilagano nonostante il napalm dei bombardieri USA e i fragili governi con a capo imbelli e corrotti generali a Saigon. Tutto era cominciato con il colpo di stato, organizzato dalla CIA con l’avallo di J. Kennedy, contro la famiglia Diem, anno 1963, e il suo sterminio. Cattolici corrotti anch’essi ambiziosi capaci militarmente a resistere alla pressione della guerriglia comunista. E dilagano le proteste in Occidente con gli studenti in prima fila. Anti-USA noi, comunque e sempre, ognuno avendo il suo Viet-Nam…                                                                                                                                            

Alle porte dell’antica capitale dell’Impero e residenza di Carlo Magno dal 794, me ne vado insalutato ospite e, da parte mia, senza rimpianto. Visito il duomo, in origine in stile romanico su modello delle chiese di Roma e Ravenna, rimaneggiato in gotico e barocco. La Cappella Palatina in forma ottagonale con il trono e il sarcofago di Carlo, il grandioso lampadario dono di Federico Barbarossa (anno 1160) con le quaranta ed otto fiammelle raffiguranti la Gerusalemme celeste. Qui furono incoronati trentadue imperatori sul medesimo trono la cui semplicità ricorda quell’autorità temporale che non abbisognava di orpelli e magnificenze per legittimarsi. Era l’Impero un principio superiore, riconosciuto pur tra rivolte e il caos di signori riottosi e vescovi corrotti.        

Percorriamo strade costeggiate da campi di grano papaveri cascinali e con il classico mulino a vento. Il giallo il rosso (colori che furono cari a Brasillach) e Van Gogh che mi dona ricordi, il pittore a me il più prossimo. Davanti ad una cancellata, due assi in legno grezzo, scendo. Troverò bene un passaggio in seguito; ora voglio riempirmi gli occhi e lasciare che le emozioni mi rendano naufrago e libero. Era il filosofo Platone a dirci del ‘divino stupore’…                                                            

Ruzzolano ai miei piedi un bimbetto biondo e dalla carnagione nivea e un cagnetto dal pelo folto e arruffato, nerissimo. Il bianco e il nero, altri colori simbolo (ne faceva menzione Ernst von Salomon ne “Io resto prussiano”). Li accarezzo. Mi si avvicina una donna dal viso rugoso e il grembiule dai vivaci disegni. Senza età. In silenzio mi porge una tazza di latte. La linfa vitale di una Europa di suolo e di sangue ad annunciare la premessa e promessa di ulteriori rinascite…

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