La pinna del pescecane

 

La pinna del pescecane

Sul mare verde di Tor Vergata, un tempo cara terra di malvasia castellana, spunta la pinna d’ uno squalo bianco gigante, un megalodonte, lo credevamo estinto, non mangia tartarughe, calamari ma carta filigranata di gran taglio. Avvistato dai pastori erranti per l’Agro romano, impaurì i miti armenti suscitando il ringhiare dei cani, l’ovatta dei cancelli chiusi ai non addetti, le torri di tralicci, a carissimo nolo, per montare i pezzi della pinna, le betoniere a pompare calcestruzzo per l’invaso del corpo, impedivano il pascolo millenario delle greggi, quel titano mostrava minacciosa la sua pinna su quel pelago d’erba.

 I fatti hanno nomi e cognomi, ne citiamo tre fra i tanti, Walter Veltroni, Gianni Alemanno, Vianini Lavori del gruppo Caltagirone, committenti ed esecutori della Città dello sport in un’area “sapiente” dove spuntano, porcini sparsi, le facoltà della II Università di Roma. Santiago Calatrava di Valencia, architetto-ingegnere visionario, cala i suoi schizzi sull’area disegnando piscine, campi di basket, volley, palestre, piste, tribune con tutto l’Ambaradan onirico di un’Olimpia romana da presentare al gran ballo dei mondiali di nuoto del 2009. Vince il Concorso internazionale delle archistelle, il progetto giudicato al top è il suo, riqualificherà una periferia da alveari e architettura “spontanea” dialogando con l’UNI2 e il polo sanitario e perché no con quella croce giubilare del 2000. 

 Certo 4 anni erano ben poca cosa per tutto quel circo, conoscendo il nostro vizio bradipo delle procedure dove alligna, assai furbo, il lievito dei costi. Si partì nel 2005 da 60 milioni di preventivo ma il vizietto dell’ingegnere venne subito a galla, cominciò la lievitazione dei pani verdi gonfiatisi a 120 milioni all’assegnazione dei lavori, il doppio. Dopo due anni il banco dell’impresa raddoppia ancora, siamo a 240 di pubblici verdoni senza che le opere lascino una minima speranza del taglio del nastro per il mondiale natatorio. Cambiano amministratori e gestori dei fondi nel 2008, si riparte ma ormai i tempi sono evaporati, Roma ospiterà la kermesse del nuoto al Foro Mussolini, pardon Italico, nello stadio a firma Del Debbio-Vitellozzi realizzato per le Olimpiadi romane del ’60, restaurato nell’83, ingrassato nel ’94 e nel 2000.

L’anno dell’evento sportivo internazionale, il 2009, invece di inaugurare “la città dello sport di Tor Vergata” segna la data della sua morte prematura, è stato speso il quadruplo del preventivo in cambio di uno squalo arenato, la vela geodetica resta là aspettando la gemella, il vento degli euro non soffia, il megalodonte non ha di che mangiare, si posa sul fondo in attesa. Il motore potrebbero essere le Olimpiadi per catturare nella rete finanziamenti da gettare in pasto al pescecane, ma occorrono 660 milioni, forse molti di più, per dare vita alla città dei sogni, con le tasche comunali bene in vista, alla Totò, a dimostrare che son vuote.

Rien a faire per le Olimpiadi del 2020, pollice verso per la candidatura a quelle seguenti, che si fa? Prendiamo quello spicchio d’aglio o pinna di squalo e ci facciamo un bell’Orto botanico per la Facoltà di Scienze naturali, questa la proposta dell’UNI2 sulla quale il solerte Calatrava lavora, è solo su un pezzetto del suo faraonico progetto, l’importante è spremere una ricca parcella, tanto lui è svizzero per il fisco.

L’alternativa per il Codacons è la demolizione, quella carcassa disturba il paesaggio, ma buttar giù una struttura completata al 40% vuol dire perdere anche il già fatto coi soldi dei contribuenti. No, crediamo che all’ing. del ponte capitomboli della Costituzione a Venezia, vadano tolte carta e matita, per affidare ad altri un progetto a tappe senza snaturare la destinazione sportiva dell’area, perché è un’opera pubblica a servizio dei cittadini non di pochi studenti ed esimi professori. I soldi? Ciascuno faccia la sua parte, Stato, Regione, Area metropolitana, Comune, perché Roma è la Capitale, anche se questo ruolo s’è rivelato un cappio e a dirla tutta le va anche stretto.

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