Tu regere imperio populos romane memento

 

Tu regere imperio populos romane memento

Parcere subjectis et debellare superbos… avrebbe continuato il sommo Virigilio nella sua Eneide (L.VI,853) mentre l’anima di Anchise abbracciava il disegno del “buon governo “di Enea e la storia millenaria della eterna Urbe. Ad oggi di acqua sotto i ponti ne è passata talmente tanta che qualche ponte ahimè non c’è più; un po’ per scarsa manutenzione ma forse anche per quel sei politico di cui una generazione si è fatta forte. Oggi, in un mondo che parla pochi sono disposti ad ascoltare; figurarsi poi se la parola è ridotta al “blatericcio” dove tutto diviene monologo e si è costretti a subire passivamente il suo non contenuto.

 È così che in questo grande calderone inevitabilmente vi finiscano concetti alti e nobili quali sovranismo, unione nazionale e tutto ciò che, gli stessi che hanno permesso la degenerazione nell’ epoca precedente, vorrebbero ridurre ad aspetti negativi ma che invece – appartenenze ideologiche a parte – sono gli schemi fondanti di qual si voglia società, della sostanza stessa di popolo.

 Non è difficile nel deserto vedere l’acqua quando si ha sete ed accorgersi tempo dopo che si trattava di un miraggio; alla stregua di una nazione che sta affondando, un pezzo di legno, sebbene possa non incutere fiducia e essere inadatto, di sicuro può salvarci la vita. Abbiamo sperimentato, tutti insieme, a cosa si sarebbe andati incontro quando tutto è di tutti e a tutti, nello stesso tempo, non appartiene più nulla. Abbiamo provato in passato ad eleminare barriere e confini e a dirci davvero con convinzione tutti fratelli; ma abbiamo anche visto che mano a mano che noi toglievamo, qualcuno aggiungeva: prima “democraticamente” poi demagogicamente; prima con il lassaire faire poi con l’imposizione che sarebbe dovuta essere – a detta degli storici – solo una “cosa nostra”.

 Ma così non è stato anche se il giudizio storico negativo continua imperterrito a pendere solo da una parte. E si è assistito al crollo totale di tutti quegli anti-valori che avevano una contraddizione in termini (il valore permaneva loro, malgrado l’anti). Quindi sovranismo diventa una bestemmia. Hanno paura di un qualcosa che tutela anche le loro libertà; hanno paura perché vorrebbero essere liberi indossando le catene gender e qui mi fermo: chi vuole comprendere comprenda.

 C’è sempre violenza in una imposizione intendiamoci; sia per chi impone, in molti casi non ci crederete ma è cosi (“Non debemus, non possumus, non Volumus “), sia per chi è imposta; ma fino a quando essa tutela entrambi i diritti e mi garantisce che non finirò nella deflagrazione del  bellum omnium contra omnes, essa è fautrice di diritto: non obbliga coercitivamente ma sancisce moralmente; disponendo regola e fa sì che la mia terra possa essere in parte anche la tua pur non avendola mai abitata né “ coltivata” .

 Ecco in parole povere il Sovranismo; la piena capacità di muoversi in una nazione a sovranità non limitata che – grazie alle sue regole – sa accogliere davvero dentro le case e non sulla banchina di un pullman che non passerà mai né per chi ci vive né per chi ci viene.

 Questo fa paura ovviamente ai superbi; fa paura a quegli esegeti che, prendendo di Marx il pensiero alla lettera, si sono ritrovati con la logica di “quello che è mio è tuo“ ( sessantottini al potere inseriti nel partito o all’ interno del sindacato che poi ne era l’anticamera per arrivare al governo e fare carriera perfino quella diplomatica)  o a coloro che, rimasti fermi e fedeli, hanno dovuto combattere contro il quotidiano accorgendosi che qualcuno, avendone travisato il pensiero, li aveva ricondotti dalla  falce e martello all’ Ancient Regime “quello che è tuo è in realtà mio “.

 Tu, o Romano, ricorda di GOVERNARE i popoli, queste saranno le tue arti, e d’imporre la civiltà con la pace, risparmiare gli arresi e sconfiggere i ribelli: ecco perché la mia libertà finisce dove inizia la tua ed entrambi sono tutelate da un Nume che segna il solco, permettendoci la via.

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