L’altare di Abramo

 

L’altare di Abramo

[In foto: Massimiliano Fuksas, Nuova Chiesa di S. Paolo a Foligno]

” Difficile essere poeti, cioè strumenti di mediazione, senza fede esatta”. (Cristina Campo)

“Meglio una capanna delle cattedrali contemporanee. Il modello è Joseph Ratzinger” gridava V. Sgarbi. Brigitte Bardot osservava acutamente “le campane delle nostre chiese tacciono per mancanza di vocazioni”, mentre l’Islam occupa il vuoto religioso del termitaio laico, innalzando minareti su quell’Europa un tempo ricoperta da un mantello bianco di chiese. Aggiungiamo l’assenza di veri campanili per le nuove cattedrali, sapete, quelli alti, quei giganti bonari che disegnano lo sky line dei nostri paesi dove, da secoli, scandiscono il tempo sia quello della gioia che quello del commiato. Piazza dei Miracoli a Pisa è un percorso iniziatico del cammino cristiano, nascita (Battistero), vita (Duomo), morte (Camposanto), tutto raccolto dentro un prato verde ricordo del Paradiso perduto ma possibile da riconquistare.

La Cappella sistina ha le stesse misure del Tempio di Salomone (40,23 m x 13,40 e 20,70 di altezza) perché Papa Sisto V, con lei, sanciva e ricordava che Roma era la nuova Gerusalemme nella continuità storica tra Antico e Nuovo Testamento. Là c’è l’altare del sacrificio dove il Pontefice è in linea diretta con Abramo, Melchisedech e Gesù Cristo, vecchia e nuova alleanza dall’inizio alla parusia come ci rammenta Michelangelo.

Le chiese paleocristiane mutuarono forma e divisione degli spazi dalle basiliche romane cambiando loro destinazione e accesso, a partire da S. Giovanni in Laterano, la primogenita di infinita prole sparsa per il mondo nel tempo con i suoi cambiamenti di stile, ma ancorata a un archetipo, o meglio un DNA, che è la fede cristiana, vera pietra d’inciampo. Su questa l’homo bit è caracollato col cellulare all’orecchio, pufff s’è sgonfiato il credo dei padri, a partire da Abramo, le vecchie chiese paiono sale d’attesa del cimitero, poche facce rugose, chiome canute, eppure in quegli anziani saggi testardi quella fede resiste sulla roccia, alla faccia dei beoti amanti della morale di Davos, Bildeberg e dintorni. Gli architetti esprimono, si sa, il loro tempo, sono matita e squadra (anche grembiulino verde) a servizio degli “illuminati” della balla salvifica: il progresso. Gli architetti ne sono i ruminanti, adorano rimirarsi interrogando lo specchio magico: “chi è il più bravo di tutto il reame?”. Tempi sepolti, quando era proibito firmar progetti perché peccato mortale meritevole di punizione.

Scandalo la fede religiosa, fanatismo d’altri tempi, integralismo passatista, per i ricchi di soldi o del blablismo onnisciente, solo le scienze, la tecnologia, il consumo sono gli assi dei bari nella partita con “un Dio che non si vede” come spigolava proprio un architetto cantautore. Questa è la sfida del pomo, ce lo mangiamo tutto fino al torso, poi vinceremo pure la morte e in questo Nietzsche e Marx ci daranno una mano. Perciò le chiese sono containers, o parti cerebrali di giovi superuomini con tanta scienza di calcolo e dell’io, ma niente forma che dica alla comunità: questa è la nostra chiesa posta al centro del paese, nella periferia degli ecomostri, sia pure d’una piccola borgata. Gli architetti sono laici come gli Stati, omini super partes costretti dagli eventi, dal vento boreale gelido di fedi. Guardate quel vecchio coglione volato giù dalla Lapponia, ha sbalzato dalla mangiatoia il Dio bambino, sostituendolo con alci, slitta, pacchi regalo, vaccinando l’infanzia da un credo oneroso. Quel mistero avvolto dal tepore della paglia, dal tremore d’una lampada accesa, dal calore d’una giovanissima mamma, s’ è disperso, il pastore non si china, l’angelo è svanito nella notte, la scienza dei magi non porta più doni. Senza fede profonda, compresa quella dei vescovi, le chiese avranno mille forme, dalle più volgari a quelle più presuntuose ma non riavranno la forma della dimora dell’uomo con Dio. Lo abbiamo lasciato solitario a passeggiare, alla brezza del mattino, nei viali del giardino che noi abbiamo coltivato, quella è la sua casa sulla terra vegliata dai cherubini, proviamo a citofonare al cancello per rientrare, senza la fede però sarà impossibile udire lo scatto che riapre il cancello.

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