L’armeno Aznavour

 

L’armeno Aznavour

“In Francia i poeti non muoiono mai” è l’aforisma nazional-sciovinista sparato da Macron all’indomani del passaggio dello chansonnier Aznavour dalla croce al cielo. Banalità, tutte banalità, tailleur (!) d’un vanesio allunato all’Eliseo senza rischi, un prodotto politico del laboratorio finanziario, in caduta libera sul mercato dei sondaggi. Monsieur Aznavour, bontà du President, era un esempio di perfetta integrazione, pronunciava bene il chicchirichì dei Galli, passaggio fondamentale per fregiarsi della cittadinanza di Marianne.

Non abbiamo spazio per l’apologia di un interprete romantico delle chansons d’amour, di quel sentimento onnipotente motore dell’universo, il kama, desiderio, passione viscerale che tutto pervade, tutto rinnova, forte quanto e più della morte. E in proposito lasciateci considerare che alla fine di Dio è seguita un’ecatombe, dalla filosofia (sua assassina), alla poesia, all’arte ma soprattutto all’amore, crocifisso dal solo coito sessuale senza più distinzione di genere. Aznavour, da antico aedo, ne celebrava la sacralità assoluta traducendola in loto della vita, senza l’incantesimo della passione, che trasforma un pipistrello in angelo, c’è il deserto della solitudine. Ma si tace su un aspetto volutamente soffocato dai media del a-pensiero, il fatto biografico che monsieur Aznavour era di Patria armena, nonostante fosse francese di natali.

Ci sono genocidi efferati politicamente scomodi da essere riesumati, assenti nel manuale alla voce “olocausto”, perché anche le parole sono proprietà privata. La vulgata storica stima in 1.500.000 le vittime della pulizia etnica degli armeni compiuta dal governo dei Giovani Turchi tra il 1915 e il 1917, una strage ancora serrata nell’armadio, nota come Medz Yeghern il “grande crimine”. L’artista “francese”, era nato a Parigi nel 1924, da genitori profughi dall’impero ottomano e scampati all’occupazione sovietica dell’Armenia nel 1922. Al genocidio etnico, la jihad di ufficiali turchi contro un piccolo popolo cristiano di infedeli, già vittima sacrificale dell’odio religioso nei Massacri Hamidiani dal 1894 al ’96, si aggiungeva la persecuzione comunista, senza soluzione di continuità.  

La diaspora dei sopravvissuti scampati al “grande crimine” prima e all’Armata rossa poi, sparse gli armeni per il mondo, Italia compresa. A Charles Aznavourian (vero cognome) toccò la Ville lumiére per registrare la sua alba, però crebbe e fu educato nel focolare dell’amor patrio, refrain di struggente nostalgia che aveva modellato la sua maschera triste nonché i suoi versi di cantautore. Ma non fu un Pierrot melanconico con la lacrima disegnata, fu, con le sue armi, un combattente per il riscatto della sua prima Terra, quella del cuore, divenendone persino Ambasciatore. Chissà se la sua anima di cavaliere della memoria, ora si bea del mare dalle finestre della casa a Erovan, lui “eroe nazionale” dell’Armenia perché profuse tutto il suo impegno nel soccorrere la Patria devastata dal terremoto del 1988 (25.000 morti) e a rischio di altro genocidio nella guerra con l’Azerbaigian, perché se le radici sono profonde il ciliegio curato torna a fiorire.  Adieu monsieur Aznavour che la tua terra ti sia lieve, noi in Italia non dimenticheremo il poeta né tanto meno il patriota né il “grande crimine” negato.

“Le tue stagioni canteranno ancora

I tuoi figli costruiranno di più

Dopo l’orrore

Dopo la paura

Dio risanerà il tuo suolo ferito

Per te, Armenia

Armenia!

Hayastan!

   (da “Pour toi Arménie” di C. Aznavour)

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