Età del disgusto. Brulicare di vermi in lotta fra loro sul cadavere dell’Europa – l’Italia è già stata ben spolpata. Aboliti i quotidiani poca televisione meglio la radio, di notte in poche pillole di notizie. Vaghe riflessioni. In questi giorni di diatriba tra burocrati alcolisti e linguaggi sguaiati…
Fra un boccale di birra e un calice di vino da Hippel nella Friedrichstrasse, a Berlino, in astiosa compagnia di Marx ed Engels che lo dispregiavano lo derisero e scrissero contro di lui, rasentando l’insulto. Qui, nella prima metà dell’Ottocento (1844) il mio amico Max Stirner, pseudonimo del mite professore Johann Kaspar Schmidt – diede alle stampe L’Unico (in tedesco Der Einzige und sein Eigentum, che suona ferrigno e richiama rullo di tamburi scintillio di pugnali nella notte). A memoria cito un passo là dove ci invita a pensare come, sempre, si troveranno compagni di lotta senza dovere sottostare a bandiere tessere distintivi divise e quant’altro.
Anni dopo un nuovo amico, più caro e tenebroso – padre di Zarathustra – ci avrebbe ammonito a “prendere la distanza” per renderci più audaci più liberi ai confini d’ogni eresia, accomunati – sono parole dello Stirner – “alla tribù degli uomini pericolosi”, i “vagabondi dello spirito che … frangono la barriera che chiude il campo paterno e se ne vanno per i cammini della critica, ove li mena la loro indomabile curiosità di dubitare”. E Nietzsche scrive del viandante e della sua ombra, di colui che sceglie abitare solitario fuori dalle porte della città.
La storia ci ha educato come ideali e sentimenti richiedessero magari un frammento di stoffa, uno straccio di seta, una benda lacerata e intrisa di sangue, una bandiera alla cui ombra milioni di uomini si sono offerti, vincitori o vinti. Le bandiere della Patria a raccontare di eroi e martiri di cielo terso di vaste pianure di monti di boschi e di coste bagnate dal mare. Le rosse bandiere che furono poetate dal futurista russo Vladimir Majakovskij. I gagliardetti neri dello squadrismo spavaldo e irriverente. Una brutta bandiera, oggi, di una UE per cui nessuno verserebbe il proprio sangue.
In visita all’Alcazar di Toledo, nel cortile la statua di Carlo V Imperatore. “Quando in battaglia cade il mio cavallo e la bandiera, prima raccolgo la bandiera e poi rialzo il mio cavallo”. E, sfogliando di Ernst von Salomon Der Fragebogen (il questionario) a pagina 39 dell’edizione italiana, leggo: “Io sono prussiano. I colori della mia bandiera sono il nero e il bianco. Essi annunciano che i miei maggiori morirono per la libertà ed esigono da me che, non soltanto quando splende il sole, ma anche nei giorni scuri, io sia un prussiano”.
Nell’età del disgusto, la bandiera della UE disadorna e indecente. Poco conta. Stirner e Nietzsche hanno segnato il cammino a noi che non abbiamo dismesso il nero e ad altro vessillo possiamo fare a meno.