Il cambio di paradigma nello scenario internazionale
In questi ultimi tempi si sta assistendo ad un cambiamento degli equilibri internazionali e parallelamente ad un declino del predominio occidentale (anglo-USA).
Il fenomeno più immediatamente visibile è quello di un protagonismo del blocco euroasiatico nell’alleanza tra la Cina, la Federazione Russa e l’India, paesi che non hanno perso occasione per rinsaldare i loro rapporti nella sfera economica, militare e finanziaria.
Dall’altra parte sembra inevitabile la perdita del ruolo egemonico degli USA che rappresentano oggi soltanto una parte del PNL mondiale e del commercio internazionale mentre il ruolo di motore dell’economia mondiale è stato assunto dalla Cina che, con i suoi massicci investimenti sulle nuove vie del commercio mondiale, a partire dalla “Belt and road initiative” (nuova via della seta), sembra destinata a soppiantare l’influenza occidentale in questa parte del mondo.
Si tratta di un gigantesco piano di infrastrutture con cui la Cina vuole tagliare le distanze con Europa, Asia centrale e Africa. Strade, ferrovie, porti con cui far viaggiare merci e persone. Non solo queste ma anche reti energetiche e fibra ottica, per accelerare la trasmissione del nuovo petrolio, i dati. Un piano valutato approssimativamente in circa mille miliardi di dollari.
Accanto a questo impressionante sviluppo, assistiamo ad una rinascita economica della Russia che, nonostante le sanzioni dell’Occidente, ha trovato una via di potenziamento delle sue risorse non solo in campo energetico e minerario ma anche in campo agricolo. Non per nulla l’esportazione russa di grano ha superato quest’anno quella degli Stati Uniti ed altrettanto si appresta a fare con altri prodotti agricoli. Senza contare il forte impulso alle industrie degli armamenti e del nucleare dato dai contratti stretti dalla Russia con paesi emergenti come l’India, la Turchia, l’Indonesia, l’Egitto ed altri.
Di fronte a questo processo di cambiamento si evidenzia la stasi e l’immobilismo dell’Europa che prosegue imbrigliata nella sua subordinazione politica al “Grande Fratello” statunitense con cui si rende sempre più evidente un netto contrasto di interessi. Un immobilismo che accentua l’irrilevanza dei paesi europei.
Le guerre che Washington ha sostenuto per i suoi obiettivi geopolitici, oltre a destabilizzare importanti aree del mondo, dall’Iraq all’Afghanistan, alla Libia, alla Somalia alla Siria, provocando enormi distruzioni, centinaia di migliaia di vittime e milioni di profughi, hanno distrutto anche la credibilità degli Stati Uniti come potenza stabilizzatrice inducendo i popoli di queste regioni a cercare appoggio sostitutivo. Così risulta che molti paesi guardano all’asse Cina-Russia. Tale processo è destinato a creare nuovi equilibri mondiali al punto da rendere inevitabile uno scontro con la vecchia forza dominante che non vuole rinunciare al suo ruolo.
Una nuova fase di conflitti sembra inevitabile per il fatto che l’élite di potere negli USA non sembra rassegnata alla perdita dell’egemonia unilaterale e pare che stia predisponendo un piano per contrastare militarmente la Russia e la Cina mediante una nuova corsa agli armamenti, puntando sulla sua forza economica e sulla sua rete di basi militari nel mondo.
Non è soltanto una volontà di rivalsa ma molto di più: è un’esigenza economica dell’enorme apparato militare industriale USA che si autoalimenta con le guerre, con il dominio e lo sfruttamento delle risorse degli altri paesi.
Questo status viene accompagnato da un’ideologia neocon (sionista ed evangelica) che predica il destino manifesto degli stati Uniti nella guida e supremazia sugli altri popoli in una pretesa missione biblica di “preparare il mondo all’avvento del nuovo messia”. Una visione fanatista di origine messianica che vede l’élite di potere USA completamente avulsa dalla realtà di un mondo divenuto complesso che non accetta più l’imposizione del modello americanoide basato sull’individualismo iperconsumista e materialista ma che in ogni nazione ritrova la propria cultura, le proprie origini e tradizioni che sono incompatibili con il modello occidentale.
I popoli non vivono soltanto di consumismo e di progresso ma anche di spiritualità e questo gli statunitensi faticano a comprenderlo.