Chi frena la crescita del PIL?
I mass media italiani, quasi tutti schierati contro il governo, hanno esposto con grande evidenza, e commentato in modo negativo, il dato relativo all’andamento del prodotto interno lordo italiano del 3° trimestre 2018 che è risultato essere stato statico rispetto all’andamento del trimestre precedente, e in aumento dello 0,8% rispetto all’anno precedente cosicché la previsione finale per l’anno 2018 sarebbe quella di una crescita dell’1% rispetto all’anno precedente.
La prima osservazione da fare a questi commenti riguarda proprio l’azione del governo: poiché esso, nel trimestre suindicato (luglio-agosto-settembre) non ha fatto in tempo ad emanare alcun provvedimento legislativo che incidesse sull’economia, e lo stesso decreto sulla limitazione del lavoro a tempo determinato entrerà in vigore nel 4° trimestre proprio per dare il tempo alle aziende di adattarsi alla nuova legislazione, non gli si può addossare alcuna responsabilità. Peraltro, quella stasi si realizza solo nel settore industriale prevalentemente a causa di una diminuzione nelle esportazioni: causa imputabile più alle situazioni politiche ed economiche internazionali che a quelle nazionali.
Ma l’ipocrisia della cosiddetta “grande stampa” d’informazioni sta nel fatto che nella stessa giornata, alle ore 11 del 30 ottobre, l’agenzia statistica europea “Eurostat” aveva diramato un suo comunicato che testualmente diceva:
“Rallenta l’economia in Europa. Secondo stime diffuse da Eurostat, nel terzo trimestre il p.i.l. registra una crescita dello 0,2% nell’area euro. Di conseguenza, il tendenziale annuo frena a 1,7% nell’area euro.”
Quindi, anche l’Europa è ferma, e ancor di più nell’area euro perché i Paesi che non adottano la moneta unica hanno una crescita, pur lieve ma maggiore. La differenza con l’indice italiano è solo di uno 0,2%….
Visti questi dati, a chi bisogna dare quindi la colpa della mancata crescita?
A nostro parere, la più profonda motivazione per criticare il modello di gestione dell’Unione Europea da parte della Commissione e della Banca Centrale è proprio questa, al di là della discussione sul bilancio italiano. Infatti, il Trattato dell’Unione Europea, firmato con tanta enfasi federalista a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2009, afferma nel preambolo che “gli Stati firmatari sono determinati a promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli”, principio ribadito nell’art. 1 laddove si afferma che “l’Unione si prefigge di promuovere il benessere dei suoi popoli”.
Domandiamo: qualcuno ha visto questi progressi e questo benessere? Sta di fatto che, seguendo le politiche di austerità monetariste dell’Unione Europea, oggi l’Italia si ritrova con cinque milioni di poveri, e la stessa Europa nel suo complesso stenta, come abbiamo visto, a crescere.
Ciò è avvenuto principalmente perché il “Soviet” europeo, che si chiama “Commissione”, ha rivolto tutto il suo impegno al proprio interno per controllare i bilanci degli Stati membri anziché fare una politica commerciale ed economica rivolta ad acquisire mercati esterni. Ha invece fatto il contrario: ha imposto sanzioni alla Russia, tagliando le esportazioni delle sue industrie e della sua agricoltura; ha accettato, senza discutere, le importazioni a prezzi di dumping sociali e produttivi dalla Cina, dall’India, da altri Paesi asiatici (esempio: il riso dal Vietnam) e dai Paesi rivieraschi nordafricani (Tunisia e Marocco, soprattutto); ha abbandonato l’Africa alla conquista cino-americana, subendo invece l’immissione di immigrati da quel continente con oneri aggiuntivi e improduttivi sulle sue economie; ha subito i dazi statunitensi senza pensare a conquistare i mercati sudamericani. Soprattutto, la politica restrittiva della circolazione monetaria e dei deficit di bilancio non ha consentito di rinnovare gli impianti e le infrastrutture in gran parte dei Paesi europei, fattori produttrici di crescita della produzione e dell’occupazione.
Sta di fatto che oggi l’Europa si trova ad avere (secondo gli ultimi dati) 13.381.000 milioni di disoccupati nell’Eurozona, pari all’8,2%, e una crescita sostanzialmente ferma. Ma le colpe di questa situazione sono ben chiare: è quella di una ideologia politico-economica liberista e finanziaria che va globalmente messa in discussione.
Ci sarebbe poi da fare un’osservazione sul fatto che il principio di una crescita economica continua non ha senso nella vita comune, ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano.