Il potere dei più buoni

 

Il potere dei più buoni

 “La mia vita di ogni giorno è preoccuparmi di ciò che ho intorno/sono sensibile ed umano/ probabilmente sono il più buono”

Così cantava il preclaro Giorgio Gaber, intuendo prima della politica (cosa non rara per un artista) l’avvento di una nuova razza, quella di coloro che dopo aver abbandonato fabbriche e barricate avrebbero scambiato la lotta armata con i girotondi e gli operai con i negretti, quei piccoli “angeli” che affollano i CARA alla ricerca del “sogno europeo” favoleggiato dalla narrazione liberal-progressista.

Ma in un’epoca che pur rifiutando qualsiasi riflessione di stampo etico o morale (inaccettabile ostacolo per la realizzazione del godimento autoreferenziale di matrice liberale) vede un fiorire di novelli manichei in perenne lotta contro il malvagio mostro bicefalo fascio-razzista (ma anche un po’ sessista), chi sono esattamente i Buoni ?

Li riconosci subito, non solo per le “autorevoli” fonti che portano a supporto delle proprie convinzioni (fonti che spaziano da un Severgnini di ottima annata al blogger siriano/libico/venezuelano le cui lacrimose vicende personali trasudano petrodollari) e per i mantra che ripetono ossessivamente in loop ( “restiamo umani”, “Salvini fascista”, “ settanta anni di pace grazie all’EU”), ma  soprattutto per quel fastidioso e pruriginoso paternalismo da circolo del cucito con il quale interagiscono con gli immigrati, pardon, angeli.

Non se ne rendono conto (o forse sì, chissà), ma spesso ciò che fanno o che dicono è incredibilmente razzista: non si tratta del razzismo della sciura bergamasca, ma di una specie più sottile e probabilmente peggiore, quello che vede nell’africano un cucciolo da educare e ammaestrare (cosa che puntualmente accade quando i centri sociali reclutano giovani migranti dando loro un cartello in mano di cui ignorano il significato per usarli come carne da cannone per le loro proteste acefale).

Fioriscono di conseguenza centri che promuovono la cosiddetta “integrazione”, ma  che assomigliano terribilmente a centri ricreativi per bambini con paralisi cerebrale, in cui si colora, ci si interroga sul perché il cielo è blu e la pelle del piccolo borghesotto figlio di papà che ti sta trattando come un beota è bianca (o rosa, in base alle diverse sfumature intellettualistiche), si va a visitare una biblioteca e a vedere per “la prima volta” i libri (come se queste persone avessero lasciato la lancia nella savana prima di pagare i trafficanti libici) e altre cose meravigliose.

I Buoni non sono solo stupidi o incapaci di comprendere il fenomeno della immigrazione come parte essenziale della macchina liberal-capitalistica, di cui sono essi stessi un ben oliato congegno, ma sono soprattutto pericolosi a causa del presupposto ideologico alla base delle loro azioni, ovvero che l’essere umano sia intrinsecamente buono; credono che bastino i sorrisi, le tavole rotonde, i concerti, i libri di Gramellini, gli editoriali di qualche dinosauro accademico che mette insieme due parole in greco e quattro in inglese per “integrare” il “buon selvaggio”.

L’essere umano non è buono né indifeso: ha bisogno di regole, di Stato e di Socialismo. Il resto, compreso un certo dirittoumanismo da riviera, sono solo palliativi zuccherosi inventati a uso e consumo di un’umanità astratta che in concreto non aspetta altro che di mangiare i libri di Gramellini e pure voi.

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