Filosofi e stagnini

 

Filosofi e stagnini

Molti si sorprenderanno del fatto che per iniziativa dell’Unesco, il terzo giovedì di novembre di ogni anno si tenga la Giornata Mondiale della Filosofia. 

La celebrazione conferma il momento di popolarità che sembra vivere l’ostica disciplina di Aristotele. In Italia esistono festival dedicati alla filosofia frequentati da un vasto pubblico, alla presenza di pensatori o sedicenti tali, alcuni dei quali divenuti vere e proprie attrazioni assai ricercate dai programmi televisivi. Molti assessorati alla cultura fanno a gara per avere nei propri eventi almeno una serata con la presenza di filosofi.

Qui sorge l’inevitabile domanda che deve affrontare chiunque studi o abbia passione per la materia: a che cosa serve la filosofia? È un quesito che nessuno avanza a proposito della pedagogia, delle scienze della comunicazione o della moda. A volte la domanda è posta con genuino interesse, più spesso nasconde un larvato discredito.

Non ci sembra più lusinghiero il giudizio dell’Unesco, che definisce la filosofia utile per formare “buoni cittadini” e “pilastro della pace”. Non è facile essere d’accordo con tesi tanto banali. La Giornata Mondiale sembra addirittura cercare giustificazioni all’esistenza della filosofia.  Giustificarsi costringe sulla difensiva. Quanto di più distante dalla realtà contemporanea, che relega la filosofia in un ordine inferiore alle scienze della natura, le quali, nell’idea comune, “servono” a qualcosa. Insomma, il problema della filosofia è la sua estraneità al pensiero strumentale, la ricerca della verità anziché dell’esattezza scientifica. La domanda fondamentale, tanto estranea all’uomo contemporaneo, non è “come “, ma “perché”.

Messi in difficoltà per la distanza dei criteri di giudizio, si finisce per trarsi d’impaccio con definizioni dozzinali che, con il pretesto di raggiungere tutti, eludono le domande fondamentali sulle questioni poste dalla filosofia. Così la filosofia viene ridotta dall’Unesco a disciplina che esalta la pace e contribuisce a formare “buoni cittadini”, tacendo peraltro sui criteri, sull’autorità di chi li determina e in base a quale scala di valori.

Certo non mancano filosofi che hanno collaborato con le peggiori cause. Per restare al nostro tempo e al variegato campo esistenzialista, è facile ricordare la difesa appassionata del comunismo stalinista di Jean Paul Sartre. Del pari, dobbiamo riconoscere l’oscurità magniloquente di troppi pensatori del Novecento, che sembrano ridurre la filosofia a un gioco di parole per iniziati, fitto di neologismi, paradossi, ambiguità.

Conviene segnalare uno dei servizi più importanti che offre la filosofia, menzionato raramente: combattere con gli argomenti la cattiva filosofia e le errate interpretazioni di quella buona. La filosofia è dunque un antidoto contro i veleni che inocula essa stessa?

Forse serve ritornare alla funzione del filosofo come moscone fastidioso che viene da Socrate. La missione di chi pensa è revocare in dubbio i luoghi comuni, le formule che gli altri accettano senza riflettere. La filosofia rende un servizio non soltanto allorché ne demitizza qualcuno, ma anche quando l’idea analizzata resiste all’esame. 

Questo esercizio sembra più necessario che mai dopo avere preso atto di una ricerca svolta tra gli studenti di liceo e dell’università, convinti in maggioranza che tutte le opinioni siano valide o meritino identico rispetto. Il fatto più interessante è che il loro relativismo obbedisce a un impulso suppostamente morale: adottano la posizione relativista per il timore di apparire intolleranti.

Il relativismo è una specie di bersaglio mobile difficile da inquadrare. Ammettiamo di individuarlo nella tesi secondo cui tutte le opinioni hanno il medesimo valore. È una tesi insostenibile in quanto paradossale, poiché, rovesciata, implica che non esistano opinioni veritiere o giustificate meglio di altre.

Il pensatore americano Michael Sandel ha rivelato che l’attrazione che lo ha condotto alla filosofia deriva dalla sua ineludibilità.  La filosofa inglese Mary Midgley, scomparsa di recente, lo spiegò in forma più prosaica ma non meno efficace quando paragonò la professione filosofica a quella dell’idraulico: l’una e l’altra si interessano di cose necessarie ma non immediatamente visibili.  Non ci si fa caso finché le strutture non funzionano: allora serve l’intervento dell’esperto. Se alla fine non c’è questione più seria della domanda su come dobbiamo vivere, tanto vale pensarci bene, con l’aiuto di filosofi e stagnini.    

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