Black Friday: la festa del capitale
Ogni religione ha le sue festività, la nuova religione liberista ha il Black Friday. Il “venerdì nero”, così chiamato sembra, perché le annotazioni sui libri contabili fatte con la penna nera identificano un’entrata piuttosto che un’uscita, è forse la festività per eccellenza di questa nostra epoca di nuovi Dei, falsi miti e ossessioni puramente materiali. Giorno di festa che sancisce l’inizio degli acquisti precedenti il Natale, e in particolare di un fine settimana di sconti da capogiro, durante il quale puntualmente si registrano alcune delle peggiori bassezze dell’umanità
Folle inimmaginabili di individui, si gettano con fare animalesco nell’agone del consumo, si ammassano nei centri commerciali, i quali sono i templi della post-modernità, e consumano in maniera morbosa, spesso pestandosi selvaggiamente, o talvolta in religioso silenzio. Quello che importa è consumare, acquistare qualcosa di inutile solo per il gusto di farlo, perché così fan tutti. Questa è la misura del consumismo divenuto modus vivendi, sacro comandamento dei mercati finanziari.
Il Black Friday rappresenta il punto più alto dell’alienazione dell’uomo all’interno della dimensione tecno-capitalista, in quanto esso cessa di essere, per tramutarsi in elemento quantificabile, massificato, uniformato ai comandamenti dei mercati finanziari, che sono appunto le nuove divinità del mondo liberista. Ci viene ordinato di vivere per consumare, e questo facciamo, in uno svilimento totale dei valori e dei significati profondi, acquistiamo morbosamente oggetti casuali che in realtà non ci servono per compiacere materialmente noi stessi, ma soprattutto il capitale.
Si discute spesso del rischio della perdita della nostra identità, minacciata a quanto pare soltanto dall’immigrazione incontrollata e dall’espansione dell’islam radicale. Poche volte invece viene posta e analizzata come problema la schiavitù verso l’americanismo e tutti i suoi sottoprodotti culturali; che cos’è il Black Friday (non a caso declinato in inglese, la lingua dell’impero) in termini reali se non un’esaltazione esterofila di uno stile di vita altro, non nostro, atlantico, impostoci dagli U$A dopo il ’45? Ce la prendiamo con l’Islam sempre più presente nelle nostre periferie, per motivi di natura ovviamente padronale e quindi sociale, senza capire che noi abbiamo già rinunciato al nostro Dio, al Dio dei cieli, per inginocchiarci tempo orsono al Dio immanente dei mercati, all’ateismo post-moderno, alla logica della quantità, al tutto misurabile e quantificabile.
Viviamo sospesi tra il web, i social network e i centri commerciali, in un eterno presente che diventa mito, dove l’unica logica è il consumo, l’unica religione è il liberismo, l’unica aspettativa è l’arricchimento individuale. In questa “notte del mondo” così strutturata, l’unica prospettiva è il nichilismo e l’unico rimedio è l’intransigenza. Diceva Heidegger: «Viviamo nel tempo della fuga degli Dei, della distruzione della Terra, della massificazione dell’uomo, del prevalere della mediocrità» – e questa è esattamente la cifra del nostro tempo.
È necessario allora ritornare sull’asse schmittiano del “amico e nemico”, ponendosi non in concorrenza ma in chiaro conflitto con una ben precisa visione del mondo, quella liberale. Ci vuole intransigenza, dobbiamo ritornare a pensare altrimenti ed agire altrimenti, rifiutando categoricamente tutto il ciarpame culturale che proviene da oltre oceano, da chi ci domina appunto culturalmente prima che militarmente. Resistenza culturale, militanza e formazione sono le parole d’ordine per salvare la civiltà europea da una sicura estinzione.
Dal canto mio, non vedo l’ora che arrivi il Black Friday, per non acquistare niente.