APPROFONDIMENTI: i gilet gialli, le automobili e il convitato di pietra

 

APPROFONDIMENTI: i gilet gialli, le automobili e il convitato di pietra

Prosegue la protesta degli automobilisti francesi che invadono Parigi con i loro giubbotti gialli, simbolo della collera incubata da almeno un anno, maturata con il passaparola in rete fino all’occupazione dei centri nevralgici della Francia. Macron si indigna e dispone la dura repressione della polizia, ma il movimento ha buone ragioni, molti sostenitori, nemici potenti e un convitato di pietra, l’Unione Europea. Il motivo del contendere sembra modesto, a uno sguardo superficiale. E’ l’aumento di 6,5 centesimi al litro del prezzo dei carburanti per autotrazione, chiamato virtuosamente tassa ecologica, una specie di carbon tax destinata a finanziare il passaggio alle auto alimentate ad elettricità. Quel che non viene detto dai media italiani, sempre al servizio dei potenti, è che l’aumento è l’ultimo di una serie che in Francia ha portato in un solo anno la benzina e il carburante diesel a rincari del 15 per cento, tutte nuove tasse.

Piove sul bagnato, sul reddito in discesa di milioni di francesi delle periferie, dei piccoli centri, delle aree rurali, già colpiti dall’interminabile crisi economica e da un crescente disagio sociale, poco serviti da mezzi pubblici cari e poco efficienti, per i quali l’uso dell’automobile privata è una necessità vitale. E’ gente non abbastanza povera per usufruire di protezione sociale, in genere si tratta di francesi, non di immigrati, lontana anni luce dal reddito e dagli agi della borghesia “affluente” ultimo bastione elettorale di Emmanuel Macron, vedovo del giovane bodyguard Benalla, guardato con perplessità dagli stessi circoli finanziari, massonici e riservati che lo hanno portato all’Eliseo per scongiurare il demonio Marine Le Pen.

A milioni di automobilisti è stato fatto credere per anni che dovevano acquistare auto diesel, le meno inquinanti e il cui carburante era il meno tassato. Contrordine, gli esperti, i competenti hanno emesso un nuovo verdetto: anche il gasolio inquina, dunque si deve passare all’auto elettrica. Le sedicenti élite non hanno calcolato che la gente comune, il populace di Voltaire, avrebbe capito il gioco. Un’altra tassa per finanziare le auto elettriche, più care, ancora lontanissime dal costituire un’alternativa. Finora, un lusso per ricchi pagato da tutti gli altri, un episodio in più della lotta delle oligarchie contro popoli superflui al momento di decidere, ma decisivi quando la mano del potere si infila nel portafogli.      

Dietro la battaglia francese si muovono interessi immensi, non solo quelli di Elon Musk e di Tesla, i pionieri americani delle auto elettriche, ma anche il futuro dell’intera filiera dell’energia. La partita è enorme, e il dramma, per i francesi e per tutti gli europei, è che il campo di battaglia, le nostre vite, il nostro portafogli, l’ambiente, l’economia legata ai combustibili fossili, ha un convitato di pietra: l’Unione Europea, la vera palla al piede di mezzo miliardo di cittadini. La verità è che, sì, dobbiamo cacciare dalle città le automobili a combustione, ma l’agenda tracciata dagli gnomi di Bruxelles è improponibile e costituisce un colpo mortale per l’industria automobilistica del nostro continente. 

Siamo immersi in un conflitto geopolitico e geostrategico in cui, nella scacchiera globale, solo Usa e Cina muovono le pedine, oltre alla Russia, superpotenza militare. Ognuna con la sua specifica forma di governo, totalitarismo di Stato contro totalitarismo invertito (Sheldon Wolin). Il neoliberismo, governance al servizio di pochi, ha pervertito il governo del popolo e sta inclinando le democrazie liberali di ieri all’autoritarismo oligarchico. E’ nel lungo regno del neoliberismo che la Cina ha approfittato in maniera eccezionale degli spazi offerti dal capitale americano come sede di produzioni basso costo dal 2001, data di ingresso del Dragone nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un’incredibile ingenuità suprematista unita alla miopia di chi non guarda oltre il proprio naso e ignora la storia di una grande nazione con trenta secoli di civiltà. Su ispirazione di Deng Xiaoping venne progettata la combinazione di nazionalismo, comunismo e capitalismo esacerbato che ha determinato ciò che noi non riusciamo a realizzare, un cambio di paradigma produttivo e culturale in grado di portare il gigante asiatico a competere per il primato planetario.

Nel frattempo, l’Europa viene trascinata verso il basso sotto lo sguardo impotente delle sue sedicenti élites economiche e politiche. Il settore automobilistico ne è un esempio. E’ innegabile il cambio di scenario che porterà l’industria verso l’automobile elettrica, autonoma e condivisa. Il trasporto mondiale sarà del tutto modificato dall’irruzione dei motori elettrici. L’Unione europea si sta unendo entusiasticamente al cambiamento, senza governarlo tenendo conto dei ritardi dell’industria automobilistica di casa propria. L’auto a combustione è destinata a sparire a causa dei problemi ambientali e di salute pubblica che genera. Il problema, enorme, è che l’agenda della transizione tracciata dalle autorità dell’UE è il colpo di grazia per l’industria europea, impreparata per il calendario a tappe forzate disposto a Bruxelles. La grande novità è che il potentissimo settore dell’automobile, una delle lobby più influenti dei palazzi europoidi, non riesce a opporsi alle direttrici tracciate da burocrati e politici. Strano davvero, giacché il potere politico ha sempre beneficiato i suoi danti causa delle élite industriali.

Il fatto è che gli interessi che guidano il cambio di paradigma nei trasporti non sono europei. I cittadini – non è una novità- non contano nulla, ma la governance neoliberista globale ha ormai occupato l’UE, trasformata in un covo di lobby di ogni tipo e origine. Chi orienta il mondo di domani, specie nel capo delle tecnologie, offre ai responsabili politici parole e teorie magniloquenti accompagnate da grafici eleganti. La teoria dominate è che siamo immersi nella rivoluzione industriale 4.0, sulle ali dell’intelligenza artificiale e del mondo dei Big Data, Google, Apple, Facebook e pochi altri.

Le parole degli esperti a contratto sono spesso temerarie e ottimistiche, ma tacciono l’evidenza che una vera rivoluzione industriale deve possedere certi ingredienti: uno è incrementare il tasso di crescita; il secondo è aumentare la produttività del lavoro, del capitale, della ricerca. Infine, deve elevare la conoscenza e il livello di vita della cittadinanza. La rivoluzione tecnologica in corso non consegue alcuno di questi obiettivi di sistema. Sul fronte della produttività, Robert Gordon, uno dei massimi docenti americani, ha dimostrato che non ci sono stati significati miglioramenti. Lo stesso Robert Solow, un premio Nobel, affermava che l’era dei computer si vede dappertutto tranne che nelle statistiche di produttività. La spiegazione è che le prime rivoluzioni industriali andavano direttamente a migliorare la capacità di produzione industriale, mentre le innovazioni più recenti hanno a che vedere piuttosto con l’intrattenimento e il consumo.

E’ facile andare oltre nel giudizio, constatando che le rivoluzioni 3.0 e 4.0 hanno generato e continueranno a generare soltanto bolle finanziarie, accumulazione di rendita e ricchezza in pochissime mani, Per di più, le imprese tecnologiche emergenti utilizzano territorio e spazio radioelettrico di proprietà pubblica. E’ giunta l’ora che questi redditi miliardari di cui si appropriano sia restituito alla cittadinanza per via tributaria. Accade precisamente il contrario, si continua a spremere la popolazione con tasse ed imposte, comprimendo i redditi e tentando con vari espedienti di non deprimere i consumi.

Creano e creeranno ricchezza, certamente, le imprese europee fornitrici di energia elettrica per autotrazione (da combustibili fossili o da altre fonti?), ma soprattutto esploderanno i profitti di chi possiede la tecnologia necessaria per fare dell’automobile elettrica una produzione di massa. Si tratta esclusivamente di soggetti americani e cinesi, alleati con le grandi piattaforme informatiche che canalizzano e dirigono il consumo di dati destinato ai primi. Anche qui, predominio americano e presenza cinese. La Cina pratica un’economia diretta dallo Stato, con controllo rigido dei capitali teso a impedire la concorrenza dei competitori globali stranieri; gli Stati Uniti impediscono l’acquisizione dei suoi giganti da parte del capitale estero opponendovi l’interesse nazionale.

Al contrario, le élites economiche e politiche europee restano paladine del mercato libero, senza rendersi conto di come finisce un’economia capitalistica lasciata agli “spiriti animali” dei predatori: impoverimento di massa, dominio di pochi, mercato monopolistico, distruzione delle economie nazionali. Hanno partecipato entusiasti alla distruzione dello Stato sociale, ma la democrazia liberale non funziona senza benessere diffuso e coesione sociale. Di fronte al comportamento di certi giganti tecnologici americani – quelli citati più Uber, Airbnb, Amazon – che non pagano un soldo di imposte mentre estraggono profitti multimiliardari, l’Europa ha il dovere di reagire, sfidarli e favorire lo sviluppo di imprese concorrenti.  

E’ ora che politici e oligarchi europei si tolgano la benda che hanno sugli occhi (corruzione, incapacità, cecità ideologica?) e rispondano alle sfide americane volte a indebolire il vecchio alleato. Va ricostruito in Europa uno Stato di diritto e del benessere che espella dal campo chi gioca con carte truccate, elude le regole tributarie, gli standard ambientali e lavorativi, costituisce monopoli. Siamo tristemente persuasi che non avverrà, a meno che i movimenti sociali che sorgono qua e là in Europa non diventino fenomeno di massa. In quest’ottica, viva la lotta dei giubbotti gialli francesi, tra i primi a cogliere il nesso tra aumento delle imposte a carico dei cittadini, dominio delle nuove tecnologie, complicità con le cupole globaliste dei governi e degli gnomi dell’Unione Europea.

A tutti costoro rammentiamo un principio della filosofia politica di cui si dicono seguaci: no taxation without representation, nessuna tassazione senza rappresentanza. Governi eterodiretti, di fatto illegittimi, che hanno tradito il principio di rappresentanza, hanno perduto il diritto di chiedere e pretendere e i loro cittadini hanno il diritto di resistere alle imposizioni. Non nacque così, come ribellione economica al continuo innalzamento delle tasse dell’impero britannico, la rivoluzione che portò alla nascita degli Stati Uniti d’America?

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