L’austerità europea crea disoccupazione
Gli ultimi dati sulla disoccupazione in Italia e in Europa non indicano inversioni di tendenza e restano “stabili” su cifre elevate. In Italia il tasso di disoccupazione è al 10,6% equivalenti a 2.746.000 persone. Ma il dato più preoccupante è quello degli inattivi, cioè persone che non possono essere definite disoccupate perché lavoro non ne hanno mai avuto, né studenti in scuole o centri di formazione: essi sono ben 13.201.000 persone.
Ma anche in Europa la situazione non è migliore. Il tasso di disoccupazione è il 6,8% per un totale di 16.823.000 persone.
Le cause di questa situazione, che crea disagio sociale e spinge sempre più disoccupati e inattivi verso la soglia di povertà. In Italia ci sono 5.058.000 persone in povertà assoluta e 9.368.000 in povertà relativa; in Europa 113 milioni di persone: entrambe le cifre corrispondono al 23% della popolazione.
Le cause di questa situazione sono molteplici, e ne indichiamo qualcuna:
la deficitaria organizzazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, l’insufficiente preparazione scolastica e universitaria, l’inutilità dei corsi di formazione professionale che spesso servono solo a dar lavoro ai presunti “formatori”, l’egoismo di molti datori di lavoro i quali, per risparmiare sul costo del lavoro, preferiscono il frequente “turn-over” di lavoratori precari e a tempo determinato per evitare assunzioni stabili e professionalizzanti, la criminale politica di quelle imprese, nazionali e straniere, che trasferiscono le produzioni in altri Paesi lasciando in Italia migliaia di disoccupati, la concorrenza non contrastata delle produzioni senza regole sociali e ambientali dall’Asia a cominciare dalla Cina, l’assenza di stimoli, promozioni e incentivi alla produzione da parte dello Stato e degli Enti Locali.
A queste carenze ben note, ne aggiungiamo un’altra fondamentale che è stata resa analizzata pochi giorni fa dallo “IIF” (Istituto di Finanza Internazionale) con sede a Washington. Esso, in un rapporto, ha messo a confronto l’andamento delle economie degli Usa e dell’Europa da cui risulta che, mentre nel periodo ante 2008 (inizio crisi finanziaria) le due economie registravano andamenti paralleli, da quel periodo in poi le distanze si sono divaricate. L’Europa è cresciuta del 10% in meno rispetto agli USA e gli europei hanno perso rispetto agli americani il 5% del loro p.i.l. pro-capite.
La differenza registrata sta nel fatto che gli USA, emettendo miliardi di dollari a tasso quasi zero non curandosi dell’aumento del deficit annuale, ha favorito investimenti e crescita occupazionale mentre la Commissione Europea continuava passivamente ad adottare i parametri di Maastricht con il tetto del 3% al deficit, e ha imposto una politica di austerità con tagli alla spesa pubblica.
La conseguenza è stata una crescita che non superava il 2% annuo, l’aumento della disoccupazione e della povertà.
Ma il rapporto si concentra proprio sulla disoccupazione facendo una giusta considerazione: le politiche di austerità prolungate danno luogo al fenomeno per cui le persone, rimanendo a lungo disoccupate, perdono le competenze necessarie per rientrare nel mercato del lavoro, e ciò anche per effetto delle minori o totalmente assenti spese dello Stato per la loro formazione.
Ciò ha l’effetto – negativo per i singoli e per l’economia di uno Stato – che quando la situazione economica migliora non sia più possibile trovare quelle professionalità di cui c’è necessità, anche perché quelle poche persone che se la sono acquisita, nel frattempo sono emigrate verso Paesi in sviluppo che le richiedevano.
Questa attenta considerazione dimostra ancora una volta che la politica economica seguita dall’Unione Europea, unita all’impossibilità di emettere moneta perché emessa e rigidamente contingentata dalla “Banca Centrale Europea”, ha creato danni.
Ma i popoli se ne sono accorti: le manifestazioni e i voti di protesta che si stanno registrando nei vari Paesi europei ne sono una palese dimostrazione.