La Cina è diventata la fabbrica del mondo, ma la sua presenza aggressiva in tutto il pianeta risveglia l’allarme. Pechino ha accelerato la sua politica di influenza globale: in Africa acquista pezzi di economia, controlla regimi e porzioni di territorio, costruisce infrastrutture, sfrutta risorse, prepara un futuro prossimo di potenza planetaria egemone. Il Ventunesimo sarà sempre più il secolo del Dragone. Alibaba e Huawei, due giganti tecnologici, sono ormai in grado di competere con i colossi di Silicon Valley. La sua ricerca scientifica è pervenuta all’inquietante modifica del patrimonio genetico di due gemelline.
La Cina, dopo la storica apertura all’esterno di Deng Xiaoping, si è presto trasformata in opificio universale, ma da circa dieci anni ha accelerato verso l’obiettivo di conseguire una presenza determinante a livello globale. In ciò è sostenuta da una forte centralizzazione politica, dal dirigismo economico, dal controllo sull’emissione monetaria e gli investimenti. La sua strategia silenziosa ha investito non solo gli Stati Uniti e l’Africa, trasformata in serbatoio energetico, colonia per milioni di cinesi, ma anche il Giappone, Singapore e naturalmente l’Unione Europea.
La Cina non è impegnata solo a garantirsi materie prime ed energia a basso costo per il suo apparato industriale, ma fa molto di più, come dimostra il gigantesco megaprogetto della nuova Via della Seta, volto a costruire una rete di infrastrutture portuali e ferroviarie verso occidente che coinvolgerà anche l’Italia (Trieste e Genova soprattutto). La Cina ha impresso un cambio di rotta alla sua politica estera incominciando a sfidare l’attuale ordine mondiale.
La svolta è più evidente dal 2012, da quando è al potere l’attuale presidente Xi Jinping. L’elenco degli interessi cinesi in America è lunghissimo, il loro impatto economico assai importante. Comincia a diventare rilevante anche l’aspetto culturale, con 350 mila studenti che seguono corsi di laurea negli Stati Uniti, mentre la madrepatria forma nei suoi atenei giovani africani e asiatici. Il deficit commerciale americano nei riguardi della Cina è enorme, circa 350 miliardi di dollari annui. Una parte notevole del pesante debito pubblico americano è in mani cinesi. Inoltre, molti cinesi emigrano negli Usa acquisendo notevole influenza economica e politica. La strategia della penetrazione del Dragone, lo sappiamo, non risparmia l’Italia.
La penetrazione cinese è particolarmente significativa nel settore tecnologico. Utilizza largamente lo spionaggio industriale e il trasferimento di tecnologie (know how) attraverso l’acquisto di imprese.
L’ircocervo cinese è un enigma difficile da interpretare: comandano i mandarini scelti dal Partito Comunista, i cui vertici hanno in mano lo Stato, il sistema bancario e dirigono l’economia. Contemporaneamente, hanno promosso un forte sviluppo del sistema privato. Monta la preoccupazione per la natura opaca delle compagnie cinesi, socie e spesso proprietarie di industrie e grandi infrastrutture anche in Europa. L’ Olaf, l’agenzia antifrode comunitaria, ha confermato l’ampiezza della ben nota pratica della sottofatturazione all’importazione. I canali privilegiati di ingresso sono il porto greco del Pireo – controllato da società cinesi- quello di Costanza, ma anche Rotterdam e gli approdi del Regno Unito, in cui le indagini hanno provocato sanzioni per due miliardi di euro.
Il dibattito si è esteso in Germania e Francia, dove l’allarme delle autorità riguarda la penetrazione cinese in settori strategici. Si sta ripristinando il sistema delle autorizzazioni ministeriali preventive per l’importazione e l’esportazione di determinati prodotti, un residuo protezionista del passato, ma concordato a Bruxelles.
La preoccupazione ha scosso la Germania nell’anno 2017 dopo l’acquisto da parte cinese di Kuka, uno dei massimi produttori mondiali di robot. Un affare da circa 4,5 miliardi di euro. Ciò che preoccupa è la mancanza di reciprocità. Le barriere in entrata nell’economia cinese, le cui imprese sono finanziate con denaro pubblico, sono tali da impedire l’accesso per le imprese europee e americane.
Le reazioni sono timide e balbettanti; il gigante asiatico troppo importante per l’economia globale e non si può prenderlo di petto.
La lotta tra la grande potenza finanziaria, economica e tecnologica americana e il suo avversario orientale ha un campo di battaglia grande quanto il pianeta. La globalizzazione libero scambista è squilibrata, non funziona, impoverisce una parte crescente del mondo. Rende l’Europa una periferia senza prospettive. Non sono in gioco solo i dazi, la finanza e la tecnologia, ma un assetto del mondo che divide l’umanità in prede e predatori.