L’opera di Jünger approda in Italia grazie all’interesse, critico, di Evola nei confronti delle opere del grande scrittore tedesco; un interesse che percorre gran parte della produzione evoliana, anche quando non si trovano riferimenti diretti e risulta di notevole importanza per la stessa posizione di Evola in merito ai problemi sollevati dalle opere del tedesco.
Nel 1960, Evola aveva tentato inutilmente di ottenere l’autorizzazione a una traduzione del libro L’Operaio del 1932 per le edizioni dell’editore Volpe, ma come scrive nella sua biografia intellettuale, Il cammino del cinabro, si convinse che l’operazione non sarebbe stata opportuna, prendendo una sorta di presa di distanza dal pensiero che Jünger stava maturando in quegli anni. Evola scrive infatti che un lettore non avvertito non sarebbe riuscito a discriminare le parti valide da quelle che lo sono meno; del resto, aveva scritto già nel 1943 di essere vicino allo Jünger letterato fino alle Scogliere di marmo, in quanto nelle opere successive ci sarebbe stata una sorta di caduta di livello dal punto di vista spirituale. Questo perché, come vedremo, già in Der Arbeiter appare quel cedimento di Jünger dinanzi alla modernità che è uno dei rimproveri più importanti mossi dal filosofo della Tradizione all’opera jüngheriana.
Ciò non toglie, tuttavia, che nel secondo dopoguerra, Evola senta la necessità di far conoscere i temi dell’Operaio in virtù di alcuni aspetti che, se opportunamente rettificati, potevano fruttificare nella nuova situazione verificatasi nei Paesi dell’Asse sconfitti. Tra questi: il realismo eroico, l’importanza degli Ordini e lo scarso valore dei partiti – tema che Evola aveva cercato di far comprendere al fascismo – e il valore della libertà per e non da qualcosa, che Jünger riprendeva da Nietzsche. Uno dei primi interventi pubblici di Evola su Jünger si trova in «Bibliografia fascista» n. 3 del marzo 1943, in prossimità degli eventi che avrebbero sconvolto a fondo e per lungo tempo la storia italiana e non solo.
Non casualmente, infatti, l’articolo esalta la critica jüngheriana al concetto difensivo di sicurezza, tipicamente borghese, la cui realizzazione è stata storicamente affidata non tanto alla ragione quanto al culto della ragione e mostra di apprezzare nello scrittore tedesco l’esaltazione delle forze elementari che spingono l’uomo ad amare e volere il destino, la lotta e il pericolo.
Il richiamo alla mobilitazione totale la cui parola d’ordine è il realismo eroico – ovvero il massimo dell’azione e il minimo della domanda “perché”, l’agire anche quando tutto sembra crollare – appariva davvero preveggente in quegli anni, così come l’identità di potere e servizio, la prontezza all’azione e al comando. Già in questo articolo, tuttavia, non mancavano critiche e osservazioni.