Senza Dio, Patria e Famiglia.
Tempo di festività. Reiterati auguri. Sentiti alcuni, formali altri. E tornano abusate e retoriche parole d’ordine di una destra becera ed esangue. Con luoghi comuni falsi e ipocriti, mascherati da linguaggi imperiosi e promesse d’essere cambiamento. Oggi mi gira storto, siate comprensivi o cambiate schermata. “Dio, Patria, Famiglia”, come vedete porto rispetto e le scrivo ancora con la maiuscola. Forse anche con una certa nostalgia e invidia. Consolatorie, giustificatorie, però, e a me sembrano le maschere ove s’annida brulicare di vermi. Dal tempo lontano della giovinezza amara e inquieta quando, tra Giovane Italia e breve permanenza nel MSI, all’ombra del tricolore ritmi scanditi – “Duce! Duce!” e “Italia! Italia!” – e l’inossidabile Inno al Sole, ingenuo, fare battaglie di retroguardia o peggio servili stelle e strisce.
Nietzsche, introducendo il suo libro più celebre, racconta come Zarathustra incontri un vecchio nel bosco e si sorprenda che non sappia come “dio è morto”. Espressione mediata da un canto luterano e già resa forte nell’aforisma “L’uomo folle da La Gaia Scienza”. Va da sé che, nelle attribuzioni usuali, Dio non può morire – o lo si nega dai suoi esordi o si ritrae, come pensava Mircea Eliade (deus oblatus) o il filosofo Gabriel Marcel. Non vi tedio con modesti sarcofaghi di teologia (ignoro) e di filosofia (poco). Soltanto per suggerire che oramai siamo “ogni istante di solitudine” e ciascuno cerchi se crede o può una zattera effimera di salvezza. (”Gott mit uns” era inciso sulla fibbia del cinturone del soldato tedesco e i piloti giapponesi si chiamarono kamikaze – e in entrambi i casi Dio li disdegnò e ne fece scempio).
La Patria, la bandiera, i confini, l’odore aspro delle zolle, la cima dei monti spazzata dal vento, l’onda a infrangersi sulla riva placida o irosa, dove ritrovare le immagini del suolo sacro, dei padri che ne versarono il proprio sangue? Sciatti i libri di storia. Pornografia di uomini e date. Cemento arido e anonimo. Sospetto invidia la retorica dei pezzenti d’animo. La Legenda del Piave un pianto vano per guasto idrogeologico. E cercare qualsiasi luogo e perché ove ci si batta per le medesime idee. Ignari che le idee altro ormai non sono pallide ombre, opinioni-optional usa e getta… Solo nel proprio petto la cifra della vittoria del valore della sconfitta. Un cuore nero.
E, infine, la famiglia. Dal ceppo originario d’ogni fierezza e speranza, premessa per il futuro, all’aurea prigione borghese. Dormitorio privato. Salvadanaio. Vuote le culle. A quale identità appellarsi? Nel bosco il cavaliere è solo e impavido, indifferente alla morte e al diavolo. Marcia senza una meta, nessuna dimora l’attende.