Jüngeriana [5]

 

Jüngeriana [5]

Ai precedenti meriti della riflessione jüngeriana, Evola collega anche quello relativo alla comprensione che la tecnica non ha il valore neutro di semplice mezzo. La tecnica moderna, quella della macchina, se usata da una forma diversa da quella dell’Operaio ha un carattere distruttivo degli antichi legami, poiché ogni forma di vita ha la sua tecnica. Il mondo della tecnica ha distrutto le antiche fedi, ma anche quella moderna nel progresso, quando ha svelato la sua possibilità di essere al servizio tanto del bene quanto del male; la sua possibilità di causare o anche solo evocare distruzioni senza nome. La tecnica è l’unica realtà rimasta fuori dalla crisi, segno inequivocabile che appartiene a un ordine diverso che si realizzerà quando apparirà la forma dell’Operaio.

Sembra, tuttavia, che Evola tenga a mantenere distinto il lato attivo da quello passivo del processo; infatti, se per Jünger il processo di dissoluzione dell’individualizzazione e della massificazione della società borghese è già in atto, solo ancora in modo passivo dovendo ancora giungere l’Operaio a dominare la tecnica, per Evola invece la passività del processo non sembra costituire un’anticipazione della fase attiva. In altre parole, sembra che per Evola non sia inevitabile il passaggio alla fase attiva, perlomeno non senza un’adeguata preparazione spirituale, senza la vittoria nella grande guerra santa e che insomma, ancora una volta, Jünger pecchi di eccessivo ottimismo letterario.

È come se Jünger soggiacesse ancora al mito della valenza soteriologica della tecnica, capace di operare cambiamenti in sé, senza produrre cambiamenti interiori. È come se l’Operaio fosse un prodotto della tecnica che dovrebbe, e non se ne comprende il motivo, cambiare autonomamente di segno da negativo in positivo. La metafisica della tecnica, di cui parla lo scrittore tedesco, rischia di restare una parola vuota. Il rimprovero che Evola muove costantemente a Jünger è difatti quello di non approfondire abbastanza gli orientamenti spirituali e i cambiamenti che dovranno avvenire anche sul piano personale (rapporti interpersonali, famigliari, sociali), che sono invece di fondamentale importanza per evitare il rischio, che invece Jünger corre, di fornire alimento a confuse religioni irrazionalistiche della vita che possono assumere aspetti naturalistici e quindi problematici.

Il culto della vita – e Jünger parla esplicitamente di unificazione di culto e vita – rischia cioè di favorire una sorta di spontaneismo istintuale, come tale orientato verso il basso e non verso l’alto. Non dobbiamo dimenticare che Evola ha già in gran parte pensato Cavalcare la tigre che uscirà l’anno dopo, nel 1961, con una fascetta che recitava: Orientamenti essenziali per un’epoca in dissoluzione, che evidentemente erano pensati come il necessario orientamento per leggere L’Operaio senza cadere in quelle che Evola considerava inattualità e utopie.   

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