Ma cos’è questa crisi?

 

Ma cos’è questa crisi?

Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Così pensavamo ascoltando un amico intento a fornire il suo parere sui problemi del mondo e le prospettive per l’anno che inizia. Notavamo amaramente che le uniche previsioni che davvero interessano sono quelle economiche e finanziarie. Ha vinto la ragione strumentale, il tornaconto, o, per dirla in modo più dotto, la filosofia della prassi. Senza principi, privati di valori, tutto diventa pura prassi, basata sui rapporti di forza.

Unica fiamma accesa resta quella della ragione economica, che porta il nostro conoscente a reagire infastidito all’obiezione che il futuro non ha come unico orizzonte il denaro, l’economia, il mercato. Nulla gli importa, come alla maggioranza, dei perché, né vuol sentire parlare di immigrazione, della bomba demografica della denatalità, di crollo dei principi etici, della famiglia che si sfalda, dell’egoismo di massa, del declino del sentimento religioso, tanto meno della necessità di promuovere cambiamenti sociali orientati dal senso morale. No, per il buon cittadino postmoderno esiste un unico destino, quello dell’economia, un’unica crisi lo preoccupa, quella che può incidere sul suo portafogli. A pochi importa di essere, l’essenziale è avere.

Bisogna tornare alla realtà, alle crisi reali che ci circondano. Poiché però la vita è anche sogno, è bello immaginare soluzioni per le difficoltà economiche e finanziarie, uscendo una volta per tutte dalla narrazione corrente, secondo la quale al modello neoliberista non c’è alternativa.

Proviamo a sognare, sperando che l’utopia, camminando sulle gambe e con il cervello deli uomini, diventi realtà e la crisi passi davvero. L’economia globale non si sposta dalla proprie ubbie, il neoliberismo rimane schiavo delle sue incongruenze. Riesce solo a sopravvivere generando bolle di attivi alimentate e finanziate con la creazione di debito privato, in attesa della sua trasformazione, meglio del mago Houdini, in debito sovrano degli Stati, poiché tutte le bolle scoppiano, producendo recessione. E’ il sistema, signori, l’instabilità finanziaria è un fatto endogeno ai mercati.

Ovvio, la crisi passerà solo quando si investirà, il denaro riprenderà a circolare e si tornerà a pensare al futuro. E’ un sogno, lo proibisce la superstizione monetarista, il dogma di una credenza eretica basata sulla scarsità del denaro. I suoi adepti sembrano quei santoni televisivi che predicano la salvezza e la povertà, ma si riempiono le tasche con le offerte degli sciocchi. Le banche centrali annunciano che non ci sarà più l’espansione quantitativa addizionale, ovvero non compreranno più titoli del debito sovrano con denaro inesistente, creato illusionisticamente, prestigiatori che traggono il coniglio dal cappello e una colomba dalla giacca.

Non esiste margine di politica monetaria nell’eurozona, si lamentano gli stessi che hanno accettato gli assurdi criteri di Maastricht che impediscono, tra le altre cose, l’uso della politica fiscale, strumento basilare in tempi di recessione. Ma cos’è questa crisi, se non rimediamo all’incredibile suicidio collettivo con il quale abbiamo ceduto alle banche la sovranità monetaria?  L’insolvenza del debito privato, lo capisce anche un ragazzo della ragioneria, attiverà una crisi del debito sovrano specie nei paesi privi di sovranità monetaria. Il prezzo di azioni e obbligazioni proprie viene manipolato con acquisizioni d’impresa e riacquisti, il tutto finanziato con prestiti a basso interesse e emissione di titolo spazzatura.

Le imprese zombie si finanziano con i nostri soldi attraverso banche irresponsabili, siamo noi del parco buoi, diventati ignari investitori a rischio, a sottoscrivere decine di pagine di avvertenze. Nella prima fase recessiva, quella scoppiata nel 2007/2008, l’immondizia la sparsero le banche di sistema, attraverso i CDO, acronimo di Obbligazione Collateralizzata con Debito; nella lingua della strada significa che la garanzia del debito era un altro debito. Assurdo, ma ci abbiamo creduto. La nuova via, poiché la vita è sogno ma anche incubo, sono i CLO (Collateralized Loan Obligation), obbligazioni garantite da crediti originati da prestiti. Fantastico, è lo stesso concetto con un altro nome, ma assai attraente in tempi di bassi tassi di interesse. 

Non c’è alternativa, o forse sì. Bisogna pensarci in fretta. Le soluzioni passano per l’abbattimento dei pilastri del neoliberismo. Ci vorrà tempo, ma la crisi passerà. Primo obiettivo il pieno impiego, abbandonato dopo l’adozione dell’agenda neoliberale. Non c’è altra via che ripristinare, in qualche forma, la sovranità monetaria. E’ di vitale importanza una politica energetica che tenga conto del cambio climatico, lontana dalle tasse ecologiche alla Macron, causa della giusta rivolta dei gilet gialli. 

Piaccia o meno ai liberali, è necessario incrementare i salari minimi, contro i dogmi dei sacerdoti della flessibilità nel mercato del lavoro. Terzo, si devono interrompere i processi di privatizzazione dei servizi pubblici, scuola, sanità, trasporti. Infine, ridisegnare il sistema di imposte che ridistribuisca il reddito senza punire l’attività produttiva, nella speranza di ridurre sensibilmente, a medio termine, la più ingiusta delle tasse, l’IVA che grava soprattutto sui più deboli. Non si può continuare con l’evasione ed elusione massiccia dei giganti della tecnologia: miliardi perduti ogni anno.

Un libro dei sogni, forse, ma che cos’è questa crisi, se non l’oppressione imposta da una minoranza? Una condizione necessaria, per quanto insufficiente, è ridurre il sistema bancario alla dimensione dell’economia reale. Ci rimetteranno banchieri e azionisti, ma non si può prescindere dalla ristrutturazione del debito globale, aritmeticamente impagabile oltreché basto su una menzogna iniziale.

Il processo di finanziarizzazione va limitato una buona volta. Lo strumento è il ripristino di poteri pubblici, anche di tipo nuovo, capaci di mettere sotto osservazione i centri finanziari e controllare le reti di telecomunicazione attraverso cui corre la finanza virtuale. La vecchia, saggia legge bancaria che separava le banche di investimento e gli istituti commerciali va reintrodotta. Il lettore si sarà persuaso che proponiamo una rivoluzione: è così, ma non possiamo fare altrimenti davanti al Leviatano neoliberista. Non c’è medicina, solo chirurgia. Urgentemente, va proibito lo sporco mercato dei derivati nel settore dell’energia, delle materie prime e dei prodotti agricoli. Non si fa trading su quelli che dobbiamo tornare a chiamare beni comuni, proclamandone l’indisponibilità alla speculazione. Non si gioca d’azzardo con il pane, l’acqua e l’energia, cioè con la vita.

Ricentrare il sistema sull’economia reale richiede probabilmente, insieme con la sovranità monetaria, una valuta internazionale di riserva. Potrebbero esserlo, debitamente riformati, i DSP, i diritti speciali di prelievo, l’unità di conto del FMI, ricavati da un ampio paniere di valute nazionali. Determinerebbero una certa stabilità finanziaria, eliminando i problemi causati dall’uso di monete di economie la cui crescita si basa sul credito, azzerando il primato del dollaro. Idee, solo idee, magari non nuove, senza dubbio oggetto del disprezzo e del ridicolo del sistema. Il cambiamento ha un’unica possibilità: il ritorno al reale unito al ritorno al morale.

Non si esce da una lunga crisi di civiltà se non si prende atto che il sistema è malato e marcito perché immorale e privo di principi. La via d’uscita è una rivolta ideale che vincoli i rimedi pratici ai criteri dell’etica e della dignità della persona, calpestati da un regime sociale ed economico rivoltante. Ecco cos’è questa crisi.

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