Orfani viandanti proscritti

 

Orfani viandanti proscritti

Mi trovo a volte a volgere lo sguardo verso la filosofia, bella ed inutile, che ho servito irriverente ed iconoclasta per circa quarant’anni dietro la cattedra, a vanità mia e dei miei alunni a noia. ‘O mia Patria sì bella e perduta’, in volontario esilio. Ottobre 2009 venne ora di traslocare, abbandonando gli spazi del Cinquecento che mi avevano visto nascere nei tempi mali dell’invasione stelle e strisce, senza rimpianto alcuno e i ricordi tanti, donai su carriole da muratore a giovanotti palestrati e tatuati oltre 300 testi saggi monografie del pensare occidentale. Era il tempo del terremoto L’Aquila e dintorni e sarebbero serviti per rinnovare una biblioteca municipale. Poi… chissà se sono rimasti affastellati e a terra nell’androne di via Napoleone III. Poco danno.           

Qualcosa ho portato con me – il Platone caro ad Adriano Romualdi Nietzsche che mi fu prossimo fin dall’adolescenza lo sciamano Heidegger ostico e ardito l’aristocratico ‘barone’ di cui ho narrato sovente l’unico e tragicomico incontro e poco altro in ordine sparso. Dal naufragio bastano a compensare ‘l’isola della disperazione’. Stanno lì, fra altri libri e scaffali polverosi, guardiani della soglia sul Nulla incipiente.                            

 A sera, le rare volte che anticipo la notte in cui mi tormento nel letto tra prostata il cuore inquieto i tendini in fibrillazione – lontana la stagione barricate bastoni sbarre e chiavistelli –  mi capita di vedere in televisione il viso smunto e perbene il ditino levato la voce imperiosa e fessa le parole pescate come numeri della tombola, sempre le medesime sempre per tutte le stagioni, dell’idolo del momento (un tempo lo fu Armando Plebe). E mi sovviene, fra i tanti ‘indecenti e servili’ che nel corso dei secoli hanno pontificato nella ‘scuola d’Atene’, quel René Descartes, latinizzatosi e noto in Italia quale Cartesio.                                                                                                                            

Un omuncolo, partito soldato durante la Guerra dei Trent’Anni ma stancatosi presto perché uso dormire a lungo. Meglio ripiegare sugli studi in cui, pur frequentando in un collegio fra i più prestigiosi, trasse convinzione di non aver appreso nulla di certo. Annamo bene… Avuta una figlia da una servetta non volle riconoscerla e, siccome si disturbava per il pianto, le cacciò entrambe. Accettò di dar lezioni alla regina Cristina di Svezia e, presosi una infreddatura (costretto ad alzarsi alle cinque del mattino, ora consona per discettare sui massimi sistemi) morì per polmonite. Amen. Eppure lo si considera fra i grandi del pensiero moderno.                                                                               

Così mi appare il ‘telegenico’ – in un post si lamenta dei botti di Capodanno che gli impediscono leggere Leibniz! -. Per fortuna mi sono accompagnato con anime, simili ad uccelli marini, capaci di vivere solo se il vento e l’onda ne sferzano il volto. Senza un perché, senza un destino, senza il calore di un nido. E nascono orfani, viandanti e proscritti nella ‘terra della sera’…

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