La necessaria inaccoglienza

 

La necessaria inaccoglienza

Il problema di chi fugge dal Sud del mondo per accedere con vari mezzi, per lo più illegali, al Nord “ricco” e sviluppato costituisce ormai con tutta evidenza uno dei problemi più difficili della nostra epoca; naufraghi annegati, porti chiusi, navi senza meta, immigrati problematici sono fonte di polemiche e contrasti che non solo non si attenuano   ma rischiano di divenire sempre più aspri in futuro.

 Dobbiamo sinceramente ammettere  che il contrasto necessariamente duro verso questa folla di illusi e di disperati, anche a volte inquinata da un certo numero di brutali delinquenti, nonostante tutto  non ci entusiasma ma anzi ci provoca  notevole amarezza; le accuse di razzismo o di mancanza di  umano senso di solidarietà rivolte a chi ( e noi tra essi) sostiene la linea dura verso gli sbarchi  dei clandestini  che si affacciano alle nostre coste, non ci lascia    indifferenti; perché per noi, è bene ricordarlo,  l’idea di società, di stato nazionale per la quale ci siamo sempre battuti non è mai stata fondata sulla discriminazione razziale, etnica o religiosa ma  piuttosto sulla comunanza e la condivisione delle speranze, dell’impegno per la difesa dei valori ideali, culturali, sociali, tradizionali, propri della nostra gente. Condivisione che non abbiamo mai pensato di precludere a priori a chi, consapevolmente e responsabilmente, voglia proporsi come onesto e leale nuovo componente della nostra comunità nazionale.  

 L’entità, l’urgenza, le modalità con cui si sviluppa tuttavia il fenomeno non lasciano spazio, ad un approccio ordinato e costruttivo. In particolare, l’entità e la vastità dell’afflusso in atto da anni ed ancor più il suo sviluppo potenzialmente imponente ed incontrollabile costituiscono il dato più preoccupante del problema. Alimentare in tali condizioni l’illusione che l’Italia o la stessa Europa possano dare spazio in casa propria alla prorompente espansione dei flussi migratori dell’Africa configurerebbe un atto irresponsabile che sarebbe causa di gravi squilibri futuri per l’Italia e per l’Europa e che  al tempo stesso sarebbe incapace  di offrire alcuna valida soluzione allo  sviluppo  delle giovani nazioni africane.

 Se non servono le chiusure e i muri a contrastare l’imponente fenomeno, non servono nemmeno le aperture ed i ponti. Ci si può facilmente rendere conto che le vie della cosiddetta accoglienza, quand’anche praticata senza restrizioni, sarebbero in ogni caso del tutto sproporzionate alla straordinaria entità del fenomeno migratorio dall’Africa considerando l’esplosione demografica in atto. Secondo le statistiche dell’ONU l’Africa aveva 260 milioni di abitanti nel 1960, divenuti oltre 1.200 milioni nel 2015 e destinati a divenire 2.100 milioni nel 2040 e 4.500 milioni (4,5 miliardi) nel 2100. Una crescita tumultuosa, di carattere veramente biblico ed epocale. A fronteggiarla non è certo adatta la piccola Europa già di per sé densamente popolata e per di più in fase di declino politico ed economico, quindi non in grado di offrire lavoro ed ospitalità nella misura necessaria.

 La soluzione razionale e ragionevole risiede in una seria mobilitazione internazionale per lo sviluppo economico e sociale della stessa Africa, un continente immenso e ricchissimo. Ricordiamo in proposito che Guglielmo Tagliacarne, un economista statistico pioniere delle ricerche di mercato in Italia, già negli anni Sessanta del secolo scorso individuava nell’Africa il continente che poteva offrire il maggiore sviluppo e ospitare la maggiore crescita demografica. Ferma dunque la giusta solidarietà verso singole persone o gruppi colpiti da calamità contingenti, chi voglia veramente aiutare i potenziali migranti e al tempo stesso avviare a soluzione uno dei problemi più impellenti del mondo di oggi dovrebbe fattivamente impegnarsi nello sviluppo dell’Africa.

 Fattivamente diciamo che per l’Italia in particolare dovrebbe significare mettere in Europa l’accento non tanto sulla ripartizione dei profughi, partita persa in partenza, quanto su di una urgente politica di investimenti per l’Africa.

Torna in alto