Aveva solo 7 anni il piccolo Giuseppe, quando è morto a causa delle bastonate inferte dal patrigno, Tony Essoubti, italo-tunisino di 24 anni.
Giuseppe non aveva colpe, così come non ne aveva la sorellina Noemi, di un anno più grande, ricoverata in neurochirurgia con un trauma all’orecchio interno e il volto devastato dalle botte.
Non era la prima volta che l’uomo picchiava i figli della compagna, Valentina Casa, 31 anni, ma i segni delle violenze venivano quotidianamente e accuratamente occultati dalla medesima con trucco e sciarpe, a quanto si apprende dai racconti della vicina di casa.
Amante, prima che madre, complice prima che genitore: dopo il massacro del figlio la donna avrebbe aspettato alcune ore prima di chiamare i soccorsi, limitandosi ad adagiare il corpicino del figlio sul divano; un lasso di tempo che si è rivelato fatale: sarebbe bastato intervenire tempestivamente per salvare Giuseppe, ma così non è stato.
La vittimologia femminista è talmente pervasiva che anche di fronte alle evidenti responsabilità morali, prima che materiali, di una donna che ha costretto i propri figli a vivere sotto lo stesso tetto di un degenerato, tocca, ahimè, leggere molti commenti di assoluzione nei confronti di Valentina: “era succube del compagno, la picchiava, era paralizzata dalla paura” et similia.
No, Valentina non è una vittima, e questo dovrebbe essere chiaro: sottrarre al marito i figli, impedire loro di vedere il padre, se non per brevi momenti in stazione ( fatto riportato dallo zio paterno dei bambini), costringere due bambini a subire le violenze di un patrigno con precedenti penali e che faceva abitualmente uso di droghe (Tony avrebbe anche detto agli inquirenti di essere stato sotto effetto di cannabis il giorno dell’omicidio di Giuseppe) e alla fine negare persino un accesso in pronto soccorso a un figlio in fin di vita sono azioni che non meritano giustificazioni né assoluzione.
Viviamo in una società che ha creato, in maniera del tutto utilitaristica e ipocrita, il mito mediatico del femminicidio: vengono celebrate le giornate contro la violenza sulle donne, si esalta quotidianamente il totem della donna vittima senza se e senza ma, finendo però con il deresponsabilizzare il genere femminile anche quando le vittime sono gli altri, in genere bambini.
Ebbene, come in Hänsel e Gretel, Giuseppe e Noemi sono stati abbandonati da un genitore, in questo caso dalla stessa madre che li aveva partoriti, la quale ha preferito loro il nuovo compagno, per quanto bestiale e crudele fosse questo individuo.
Smettiamola di difendere gli adulti e riconsideriamo quali debbano essere le categorie che la comunità ha il dovere di difendere: bambini, anziani e disabili; le donne che barattano i figli e la stabilità familiare per un amore giovanilistico no.