Biopolitica, l’organizzazione del disordine

 

Biopolitica, l’organizzazione del disordine

Non c’è dubbio che il potere sia radicalmente cambiato nell’ultimo mezzo secolo e che siamo passati a un mondo nel quale si è allargata la pratica del controllo.

Dopo il Sessantotto, il potere si fa biopotere, ovvero modella corpi, desideri, modalità fondamentali della vita per appropriarsene. Le relazioni di potere non sono mai state tanto verticali, nonostante la modalità reticolare prodotto della tecnica informatica. Secondo Gilles Deleuze, la vittoria della società “di controllo”, epifenomeno del dominio neocapitalista, spiega il declino della società civile, caratterizzata da strutture forti, portatrici di istituzioni e identità solide. Tutte sono entrate in crisi, dalla classe alla Chiesa, dalla famiglia allo Stato.

Interessante, al proposito, è una riflessione del filosofo Giorgio Agamben, autore di Homo sacer: la sicurezza, come concetto guida della società, si contrappone progressivamente alla legge e alla disciplina come strumento di governo. Fin dai tempi dei fisiocratici non si trattava di prevenire le carestie, ma di lasciare che avvenissero per poi governarle. E’ lo stesso principio del potere finanziario, che produce crisi periodiche per liberarsi delle scorie e prendere il controllo di nuovi pezzi di economia. I dispositivi della sicurezza (parola mai tanto usata come negli ultimi vent’anni) tendono ad aprire e globalizzare per guidare i processi, a differenza della legge, orientata a prevenire e regolamentare.

La legge fattasi disciplina vuole instaurare un ordine, la sicurezza si limita a governare il disordine. Non è un caso che il termine ordine sia caduto in disuso. Un’amministrazione controllata del disordine può funzionare se sussiste una certa libertà di circolazione, commercio e iniziativa, dunque entro il perimetro della narrazione liberal liberista. E’ per garantire “sicurezza” che ovunque installano telecamere e sensori. Non possiamo oltrepassare i santuari del potere, banche, centri commerciali, senza trovarci di fronte alle nuove dogane.

Ad un potere fintamente plurale, reticolare nella prassi ma verticale nella sostanza, non si possono opporre che forme di resistenza e ribellione plurale. Dinanzi a un dominio sfuggente, “tecnico”, senza luoghi, occorre ripensare due intuizioni di Carl Schmitt. La prima riguarda la definizione del politico come fenomeno polemico e quindi, guerra, sia pure a intensità variabile e non necessariamente armata, con la conseguente distinzione di amico e nemico. Il passo successivo è prendere atto che lo schema diseguale, la differenza immensa di risorse, porta a una contrapposizione simile a quella descritta nella Teoria del Partigiano. I fronti sono mille, mobilissimi e sempre nuovi; non vi si possono opporre idee, ma anche meccanismi reattivi del passato. Ci vuole un ribelle di tipo nuovo, il partigiano antimondialista del terzo millennio.

Dietro il concetto di biopolitica sta l’intero arsenale del nuovo vocabolario politico. Il potere, in alleanza con il livello apicale della scienza e della finanza che investe nella ricerca, si appropria del corpo fisico per farlo oggetto di dominio e rivendicare su di esso diritti di accesso, addirittura di proprietà.

La vicenda delle vaccinazioni ne è un episodio. Premesso che alcune sono indispensabili, perché le ricerche sono segrete, perché non sappiamo che cosa ci viene iniettato, obbligatoriamente e sotto pena di sanzioni? Abbiamo il diritto di chiederci se siano in corso operazioni di ingegneria antropologica sul nostro corpo. Se i sospetti di molti sono stupide anticaglie o resistenze di complottisti, basta aprire i cassetti e dire la verità.

E’ in atto una potente campagna di spossessamento della vita, nascosta da formule consolatorie. Il senso della vita viene fatto coincidere con le modalità del controllo biologico, tecnologico delle popolazioni penetrato nel lavoro, nel linguaggio, nei corpi, nei desideri, nella sessualità.

La vita è stata catturata da un’armata di competenti, tecnici, consulenti, intenti a un’opera di omogeneizzazione delle nostre esistenze.

L’organizzazione del disordine è pervenuta a tutto ciò attraverso il controllo individualizzato e il mantra della sicurezza separata dall’ordine civile, etico, spirituale. La tecnica sta afferrando ciò che non sembrava alla sua portata, il metafisico, le emozioni, il senso di identità, il libero arbitrio.

Il biopotere, infine, è un efficientissimo apparato antropotecnico il cui obiettivo è la regressione dell’umanità allo stato animale. Da creatura di Dio a individuo, da soggetto a oggetto, infine codice a barre più un cartellino contenente i nostri dati nella filiera post umana: animali d’allevamento. Rinchiusi in stalle igienizzate, sottoposti a un regime alimentare e sanitario deciso da un’equipe di esperti al servizio del mercato, senza una normale vita sessuale. Anche la riproduzione è tecnica, asettica, con provette e siringhe, in tutta sicurezza. Sicurezza, il surrogato dell’ordine nell’era del biopotere.

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